Cuffiette

Ieri ho fatto una cosa che non faccio mai: sono andato a correre con le cuffiette.
Quelli che corrono con le cuffiette secondo me sono scarsi.
Ma non scarsi a correre, possono pure essere velocissimi, ci sono addirittura professionisti che corrono con le cuffiette, quindi definirli scarsi è un errore: diciamo che hanno un rapporto scarso con la corsa.

Quando con la corsa hai un rapporto sano le cuffiette non ti servono a niente, manco ti vengono in mente: stanno dentro a un cassetto, tutte arrotolate attorno al lettore mp3 e già è assai se ti ricordi dove le tieni.
Uno che corre perché gli piace correre non si vuole distrarre: vuole sentire il respiro, il rumore delle scarpe che cambia a seconda della superficie, asfalto, sterrato, buche, avvallamenti, asciutto, bagnato, pozzanghera, quanti appoggi? passo lungo, passo stretto, discesa, salita.

Ma non è solo una questione di suoni, perché a dire la verità ai suoni non ci fai molto caso, come del resto non fai caso quasi a niente (se non alle macchine che tentano deliberatamente di ucciderti): sei troppo impegnato a soffrire per notare qualcosa che non sia la tua sofferenza.
Con questo non voglio sostenere che uno a cui piace correre sia un masochista, perché anzi secondo me è vero l’opposto: uno a cui piace correre (senza cuffiette) cerca, se non proprio la pace, almeno la sospensione del dolore.

La corsa in questo senso è oltre Leopardi: l’unico modo per annullare tutte le sofferenze (piccole e grandi: preoccupazioni, pensieri, ansie, nevrosi, dolori) è farsi assorbire interamente da una sofferenza improcrastinabile. Mentre corri sei fisicamente costretto a non ascoltare nient’altro che il dolore di correre: urgente, immediato, totalizzante. Si piglia tutto lo spazio e il resto è costretto a retrocedere sullo sfondo. Più hai il fiatone, più scompare ogni cosa tranne il fiatone.

Diciamo che intesa così, la corsa è l’esatto opposto dell’estasi: l’estasi è stare fuori da sé per non sentirsi, correre è stare così tanto dentro di sé da sentirsi fino a non sentire altro. Alla fine il risultato è più o meno lo stesso.
Con il vantaggio che  raggiungere l’estasi è una cosa elitaria, ci arrivano quattro monaci, tre bramini, cinque o sei eremiti, uno o due digiunatori (che poi appena la raggiungono muoiono), invece la corsa è alla portata anche di uno che ha solo pensieri terra terra, tipo la bolletta del gas oppure: minchia, mi sono scordato di nuovo la lettiera del gatto.

Le cuffiette con questa pratica ascetica che c’entrano? Niente: fanno rumore di fondo e basta. Un rumore di fondo su cui non riesci nemmeno a concentrarti: la senti di sfuggita, quella musica che sparano le cuffiette, e contemporaneamente ti distoglie quel tanto che basta dall’immersione nei tuoi visceri.
Insomma, secondo me le cuffiette sono il sintomo che stai correndo un po’ come se qualcuno ti avesse costretto a farlo, e allora cerchi di blandirti, di fartela pesare il meno possibile: hai un rapporto scarso con la corsa.

Io in questo periodo c’ho un rapporto scarso con la corsa.

Mi sono fatto quanto un porco e ho smesso di contare i chili in più che ho preso: il peso mi rende più faticoso correre, e questo, stando alla teoria sopra esposta, potrebbe pure essere un bene, ma in realtà non è così, perché il peso ha anche un’altra controindicazione.
Il peso ti rende faticoso non tanto correre, ma l’idea di uscire di casa per correre. Ti tiene la volontà seduta su una sedia e ti comunica costantemente degli impulsi tipo: ciao, siamo la comitiva dei tuoi amici lipidi e ti volevamo dire dai, restiamo qua, dove dobbiamo andare? Si sta tanto bene su questa poltrona.
Ecco, una volta che la volontà s’è ammalata, finisce che apri il cassetto e cerchi le cuffiette come se fossero quelle pillole miracolose della televendita Giorno&Notte.

Io ieri pomeriggio ero così.

Di gente che corre abitualmente con le cuffiette ne ho intervistata un bel po’ (ma le mie sono interviste a tesi preconcetta, quindi valgono poco) e nelle risposte ho trovato la conferma che andavo cercando: un rapporto scarso con la corsa.
La più comune infatti è risultata essere: la musica mi gasa, mi dà la spinta, mi fa da pungolo.
Ma che significa? Che è? Doping?
No, o almeno non in senso stretto, perché il doping influisce sulla prestazione modificando la fisiologia dell’organismo (che poi dipende dal tipo di doping: c’è un tipo di doping che, appunto, ha l’obiettivo di tacitare il sistema nervoso quando invia segnali di fatica, annullare cioè la sensazione di sofferenza – di cui si diceva prima – e dunque alzare la soglia della propria velocità, o meglio della propria resistenza alla velocità).

La musica delle cuffiette, pur non essendo doping, influisce sulla volontà: tu oggi non volevi correre, ma io, nel senso di io musica proveniente dalle cuffiette, sarò il tuo motivatore, ti inciterò a farlo, ti spronerò e farò in modo che tu riesca a completare l’allenamento.
‘Sta musica delle cuffiette quindi è più che altro un imbonitore: ti fa comprare una cosa che non ti volevi comprare (tipo la televendita delle pillole Giorno&Notte), e finisce che di fatto ti ritrovi a fare una cosa che non ti andava di fare, cioè correre.
Questo penso io quando incrocio uno che sta correndo con le cuffiette: egli non voleva correre, ma s’è fatto infinocchiare dalle cuffiette. E mentalmente gli dò dello scarso (nel senso di scarso che ho spiegato prima).

Allora ieri mentre tiravo fuori le cuffiette dal cassetto m’è un poco ghiacciato il sangue e ho pensato: e se poi mi incrocio mentre corro e penso di me stesso che sono scarso?
Ma per non sentirmi troppo pazzo, ho modificato il pensiero in: e se poi incontro uno con le mie stesse fisime che mi prende per scarso a causa delle cuffiette?

Stavo per togliermele dalle orecchie quando mi è venuta l’idea geniale di applicare un correttivo: mi metto una maglietta della Roma-Ostia, o della Stramilano, così vedono tutti che ho corso una gara, e quindi non sono il corridore del sabato che uno di solito s’immagina quando incrocia uno con le cuffiette.
M’è sembrata talmente una buona idea che per diversi chilometri ho incrociato gente che correva priva di cuffiette senza farmi prendere dal panico.

Poi però a metà percorso è subentrato un pensiero devastante: aspetta un momento, mi sono detto, le cuffiette si vedono subito, è un colpo d’occhio, invece la scritta sulla maglietta la devi leggere, ci vogliono secondi interi. E chi è che si mette a leggere le magliette quando incrocia qualcuno? Io non le leggo mai: figurati se mentre mi sto spolmonando mi metto là a decodificare quelle scritte tutte arzigogolate, metà logo e metà lettera, di quei colori fluo che solo a vederli viene voglia di girare la testa dall’altra parte.

Alla fine mi sono dovuto rassegnare: da oggi tutti sapranno che il mio rapporto con la corsa è in crisi.

Devo dire che quando questa consapevolezza s’è fatta robusta, l’allenamento è diventato più piacevole: potevo rallentare quanto volevo, tanto che sono scarso era ormai di dominio pubblico, quindi mi potevo pure fare una specie di passeggiata, anzi, se m’andava mi potevo addirittura fermare prima della fine, come fanno quelli veramente scarsi. Buono.

Durante questa salutare e distensiva fase di rallentamento ho incrociato uno con cui correvo quando ancora non ero così scarso da correre con le cuffiette.
Lui è molto più giovane di me, dieci o più anni, quindi pure se aveva le cuffiette, ho sospeso il giudizio circa la sua scarsezza: magari per le nuove generazioni iperconnesse è diverso.
Non sapevo se ci saremmo salutati o detti qualcosa: questi scambi di battute quando corri sono un poco molesti, ti auguri sempre di non dover fare più di un piccolo gesto con la mano. Quindi avendolo visto abbastanza da lontano ho fatto quello che stava facendo pure lui: ho tenuto gli occhi bassi e ho rinviato la decisione sul dire o meno qualcosa fino all’ultimo momento, quello in cui ci saremmo effettivamente incrociati.

Là mi sono accorto di un gap generazionale e m’è crollata addosso tutta la mia vecchiaia.

Le cuffiette in pratica ti dicono quanti anni hai in un modo molto empirico: se sei vecchio, quando qualcuno all’improvviso ti dice qualcosa, te le togli dalle orecchie con le mani. Fai questo gesto analogico e primitivo di estrarre gli auricolari dalla cavità per sentire cosa ti sta dicendo il mondo esterno. Se invece sei giovane sfiori semplicemente un bottone e non ti togli niente.

Lui infatti non s’è tolto niente, io invece mi sono spogliato le orecchie.

Abbiamo cincischiato qualcosa nel mezzo secondo che è durato il nostro incrociarci, e mi sono accorto che pure lui era sovrappeso e pure lui andava lento: le cuffiette valgono pure per le nuove generazioni, ho pensato tutto soddisfatto della mia cartina di tornasole.
La cosa mi ha consolato e per qualche altro chilometro ho ritrovato serenità. La musica delle cuffiette me la sono quasi goduta.

Poi mi sono fermato a fare stretching sulla terrazza del Monumento, e ammetto che le cuffiette le ho quasi benedette.
Perché sublimavano una vista già di suo magnifica: il mare di ottobre, mosso a scirocco, l’aria calda, umida e impicchiusa in cui ogni tanto coglievi un’improvvisa folata di gelo, risultavano amplificate dalla struggente melodia dei primi Radiohead scelta a caso dallo shuffle.
Ho indugiato nello stretching come non mai. Un po’ troppo, però.

Perché rapito da questo connubio di visione e ascolto, di botto m’è tornato in mente il ragazzo che avevo incrociato. E ho pensato: ma io alla fine non ci ho fatto caso alla maglietta che aveva, ho notato solo le cuffiette. Quindi di sicuro anche lui ha fatto lo stesso e io adesso ai suoi occhi sono scarso senza possibilità di redenzione. E pure vecchio, ché mi sono tolto gli auricolari con le mani.

M’è venuto l’istinto di lanciare le cuffiette in mare per non avere più la tentazione di usarle in futuro. Però la canzone stava dicendo che she looks like the real thing/ she tastes like the real thing/ in my fake plastic/love e allora ho pensato che se sei scarso è anche giusto sembrarci, scarso, altrimenti ti vendi per quello che non sei: a fake plastic tree.

Anche se il titolo di quella canzone io non l’ho mai capito bene: è l’albero a essere fake (finto) perché è di plastica? O è solo la plastica di cui è fatto l’albero a essere finta, e invece l’albero è vero? Nel dubbio, le cuffiette me le sono tenute: but I can’t help the feeling/I could blow through the ceiling/if I just turn/and RUN.

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com