L’egoismo umile dello scarso: Jovanotti spiegato a chi non gli piace

Ieri, complice il concerto su Rai Uno, s’è parlato assai di Jovanotti.
Ci si divide parecchio, su Jovanotti. Ci sono quelli che ammirano il suo percorso in avanti e quelli che ritengono quel percorso in avanti un bluff: scemo era e scemo è rimasto.
Poi ci sono anche quelli con la sindrome del membro interno: sì è vero, ha fatto un bel percorso in avanti, ma io ora perché gli devo mettere un bel voto? Esattamente come il professore di scuola tua, che ti conosce da cinque anni, ti ha visto partire male in quarta ginnasio, arrancare fino alla seconda liceo, e poi, all’ultimo anno fare un bellissimo esame di maturità: ok, bravo, però il sessanta no, manco se muori sui libri.
Sul Jovanotti musicista non è che abbia molto senso schierarsi. Lui ha chiaramente scelto la cifra dell’intrattenimento, e siccome lo fa bene e con cura, là le cose sono solo due: o ti piace o non ti piace. O sbadigli o ti diverti. Gusti.

Però Jovanotti col tempo è diventato una figura pubblica, di quelle condivise anche da chi non lo ascolta: è entrato nell’immaginario, e in serate come quelle di ieri è un argomento di conversazione. Ha cioè qualcosa che fa da richiamo, che attira le discussioni, per tutti. E forse è questo suo inesauribile vitalismo: puoi anche considerarlo posticcio, una maschera per vendere dischi e biglietti dei concerti, ma ci devi fare i conti, perché in pratica ti costringe a dirne qualcosa, specie se anche tu sei sui quaranta e lo vedi là, che ancora salta come a sedici.
Ecco, quindi, senza stare a voler dire niente su di lui, ma solo qualcosa su di me in rapporto a lui, io mi ci ritrovo un sacco in Jovanotti.
Mi piace un sacco che abbia saputo mantenere quello spirito di: non so fare niente, e scusatemi in anticipo perché proverò comunque a fare qualcosa.

È superficialità? No, peggio: è egoismo. Perché se fosse superficialità trasmetterebbe antipatia, e invece lui è empatico come tutti gli egoisti (cioè quelli talmente concentrati su qualcosa da dimenticarsi del resto).
Jovanotti partì ed è rimasto così: non mi interessa niente se il mio miglioramento avverrà a spese vostre, perdonerete se rido come un cretino e se all’inizio canto stonato fino a farvi strillare pietà, mi dispiace, ma a me interessa solo imparare a cantare. La prima canzone è uno schifo, e vi tocca sorbirvela, ma vedrete che l’ultima sarà buona. Questo provare a migliorarsi per puro entusiasmo di emulazione, cioè per egoismo, non è una benedizione?
Salve, ti dice lui quando sale sul palco in perfetta forma psico-fisica, mi chiamo Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, che è un nome da scimunito, per questo poi c’ho aggiunto il nome vero, perché volevo farvi capire che l’ho capito anch’io che era un nome da scimunito (ce ne ho messo, ma l’ho capito), però non l’ho rinnegato: l’ho solo superato. All’inizio volevo fa’ l’americano, imitare, perché quando ti entusiasmi per qualcosa (e io m’ero entusiasmato per il rap) ti viene di imitare, è una questione di ammirazione, e io (nel senso di io Jovanotti) volevo fare il rapper Dj di Pasadena: m’è uscita fuori una cacata maccheronica, gimme five, alright, però era così piena di entusiasmo che ancora ve la ricordate tutti, perché un conto è partorire una canzone d’esordio scarsa, e un conto è partorirne una talmente scarsa da risultare memorabile per la sua scarsezza.

Ci vuole l’umiltà dell’egoismo per mantenere vivo questo processo di apprendimento in trent’anni di carriera. L’egoismo, penso di avere già spiegato perché: una questione di entusiasmo. L’umiltà invece è quella di riconoscersi come slow learner ed elevare questa lentezza a regola per un avanzamento costante: fare questa cosa, trovando anche il coraggio di farsi ridere dietro, e restituendo fuori solo positività mica è buonismo. È applicazione. Cioè energia. E la sua è energia col segno +. Che può fare antipatia proprio perché ha il segno +, certo.
Il segno + è più difficile del segno -. Perché se anche una, una sola volta nella vita hai provato a scrivere una canzone, una frase, una lettera alla fidanzata, lo sai, lo sai per forza che è facile colpire nel segno con una cattiveria, con una frase caustica, con un colpo di coda a sonagli, e lo sai, te ne sei accorto subito che invece maneggiare tenerezza e bontà è complicatissimo, non riesce quasi mai, e si rischia costantemente di sembrare Paolo Coelho.

E allora ci vuole coraggio per essere Jovanotti, che mille volte rischia con la positività, e quindi sì, gli capita mille volte di fulminarsi e sembrare Coelho, e però lo fa lo stesso, perché sta sempre cercando che gli capiti di sembrare se stesso, fare dichiarazioni d’amore potentissime, così potenti che se le facesse uno che non è lui sarebbero debolissime, e invece sono sincere, spontanee, sue, con le immagini semplici per dire le cose complicate.
Quando gli riesce ti investe in pieno. E se davanti a uno che ti investe in pieno riesci a non ballare, significa che veramente sei morto: hai voglia di cortocircuitare il segno + col segno -, Frankestein non lo risvegli.
Jovanotti è così, incrocia i fili di alto e basso, intelligenza e scemenza: parte la scarica, tu balli elettrizzato, e lui migliora. Da venticinque anni, a ogni disco.
Ed effettivamente sì, uno che migliora sempre può anche irritare: era una bestia e ha cominciato a leggere. Era un’ingenuo e si è smaliziato. Era buonista e se leggi l’ultima intervista che ha rilasciato a Gramellini, vedi che ora non lo è più (là è Gramellini a non farci una gran figura, con tutto quel suo ammiccare e suggerire che questo Jovanotti qui è ancora un po’ lo scemo di prima, e che sotto, sotto, poi, non è mica di sinistra come dice di essere).

Come avrà fatto Jovanotti a migliorare? No, veramente, se pensi a com’era ai tempi ti dici che non è possibile, non è lui, dev’essere uno che gli somiglia, perché lui, quello di sei come la mia moto, era un caso disperato: si fosse chiamato Eliza, Higgins non avrebbe mai accettato la scommessa di fargli pronunciare bene la “s”. E lui invece ce l’ha fatta (no, con la “s” ancora no).
Forse perché per migliorare ti devi per forza vedere sempre un poco scarso. Però non stupido. Ti devi vedere scarso, con dei margini.
La forza dello scarso sono i margini di miglioramento. È un’impresa, una fatica fisica, tenere questo margine sempre largo, e spostarlo sempre avanti: è una fatica rimanere scarsi per potersi migliorare. Detto questo, Jovanotti può anche non piacervi. Chi se ne frega di voi? Io voglio migliorare a spese vostre, come lui.

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com