Jovanotti su tutto

La Stampa di domenica pubblica su due pagine intere una lunga intervista di Massimo Gramellini al cantante Jovanotti, che parla molto di sé e delle sue passioni ma anche dell’Italia, della politica, e di cose più grandi ancora, con diverse intuizioni interessanti, a cominciare da una riflessione sull’ecologismo. Parlando poi della necessità di costruire un cambiamento e non solo di parlarne o suggerire come qualcun altro debba fare le cose, Jovanotti formula un efficace slogan: «Bisogna essere».

«Dobbiamo vivere la natura, ma non essere la natura. La foresta amazzonica insegna che il mondo è ingiusto, che le piantine piccole non ce la fanno, ce la fanno le più stronze che si attaccano alle grandi. Conosci il matapalo?».
Mai avuto il piacere.
«Il matapalo è un arbusto che si arrampica intorno all’alberone, finché lo soffoca e ne prende il posto, in attesa che un altro matapalo l’avvolga e lo soffochi. La natura è crudele, fidati. A noi piace quella finta, le colline della Toscana, ma quei panorami li ha fatti l’uomo. È la destra che esalta la wilderness della natura. La sinistra deve tenere insieme natura e cultura, il lupo e l’agnello, come li chiamava Gurdjieff».
Quindi il Jovanotti ecologista non esiste più?
«In un’economia di sostenibilità ecologica, oggi l’idea forte è come rilanciare il lavoro, la famosa Crescita».
Che molti a sinistra considerano una parola orribile.
«Io la trovo bellissima. Non si cresce solo in estensione, anche in profondità».
Non ti spaventano otto miliardi di persone?
«Il mondo è vuoto. Sorvolalo in aereo e te ne accorgerai. È bello dove c’è un sacco di gente, ci sono più opportunità. Un giorno, in una megalopoli, guardavo con orrore la favela cresciuta accanto a un quartiere ricco, ma chi era con me disse: crescere con un quartiere ricco accanto è l’unico modo in cui un ragazzo povero può pensare di cambiare la propria vita. La vera povertà è sempre povertà di visione».
Ma chi era il tuo accompagnatore, Briatore?
«Quando in una città nasce un nuovo edificio per me è una festa. Finiamola con questa mania di preservare e basta. Altrimenti diventeremo un’Italia in miniatura come quella di Rimini, ma a grandezza naturale. Il più grande desiderio di un ragazzo cinese è comprare un telaio, perché di lì a tre anni gli permetterà di aprire un’azienda, di diventare qualcuno».
Il nostro telaio qual è?
«Essere italiani. È qualcosa, specie fuori dall’Italia. Esiste un pregiudizio positivo nei nostri confronti».
Fino a Berlusconi.
«Ti sbagli. Berlusconi ha confermato il pregiudizio positivo: lo guardano come una cosa impensabile, inspiegabile, come il festival di Sanremo o la commedia all’italiana. So che a Hollywood stanno pensando di fare un film su di lui con Jack Nicholson».
Il sequel di «Shining»?
«Lui è Terminator: a un certo punto sembra che sia rimasta solo una lucina rossa, ma poi si riforma… La sua storia non finirà mai, il suo nome ci dividerà per sempre. Immagina se fra cent’anni, quando forse morirà, un sindaco decidesse di dedicargli una piazza…».
Ti è simpatico?
«Umanamente sì. Ma lo combatto perché in tutti questi anni non ha fatto nulla per l’Italia. In lui vedo il prodotto di un Paese di individui e non di cittadini, un Paese che la sinistra non ha capito. La sinistra non ha raccolto la sfida. Ha giocato un altro sport».
Il conflitto d’interessi ha truccato le regole del gioco.
«Okay, hai un pugile che si è messo le pietre nei guantoni, ma tu inventati qualcosa. Reagisci. Bisognava essere lì, occupare gli spazi. Era un partita pop, basata sull’immagine, la ripetitività, la costruzione di un marchio. Non basta dire che il giaguaro è smacchiato. Bisogna essere».