Il Metodo Machiavelli

Non so se Il Metodo Machiavelli (Rizzoli) di Antonio Funiciello può definirsi un caso editoriale. Certamente ha un successo anomalo. Due edizioni in un mese, decine di inviti a presentarlo in giro per l’Italia per un libro sul tema difficile e non certo popolare del rapporto tra consigliere e leader politico. Come servire il potere e salvarsi l’anima, recita il sottotitolo di un testo che non indugia mai sulle mode del momento, non parla mai di social network, non cita l’intelligenza artificiale signora mia, e non contiene neanche un pettegolezzo. Inoltre, l’autore non è famoso e non appartiene a un circolo di intellettuali a cui iscriversi al modico prezzo di copertina. Insomma, i soliti sospetti non sono in grado di spiegare la fortuna del Metodo Machiavelli, e bisogna allora guardare al contenuto del libro. Come spiega il più grande scrittore di gialli, “eliminato ogni altro fattore, quello che resta, per quanto improbabile, deve esser il fattore esatto”. Io in verità ne vedo due.

Primo, è un libro che riporta nella discussione il senso concreto della storia e il senso dei meccanismi stabili della politica e del potere. Viviamo in un’epoca ubriacata dal nuovismo, in cui la tecnologia ha ridotto una generazione di adulti a uno stato adolescenziale permanente, come si evince – tra le altre cose – dalla qualità delle discussioni anche tra persone ormai canute. Eppure, a ben guardare, è possibile osservare i meccanismi del potere e della sua gestione partendo dallo staff di cui si dotò Gesù Cristo (gli apostoli) per arrivare ai nostri giorni, e notare quanto essi siano regolari e prevedibili.

In altre parole, Il Metodo Machiavelli fa l’opposto della celebrazione acritica della novità a cui siamo abituati – qualche esempio: Obama, Trump, Brexit, Corbyn, Salvini. Con il sorriso sulle labbra, Funiciello ci mostra l’immutabilità di alcuni meccanismi centrali alle decisioni e al potere, e facendo questo ci spiega cosa e dove guardare se vogliamo comprendere cosa succede e perché succede. “Scorre lento il fiume della commedia umana, ma le vite dei consiglieri si somigliano tutte” (pagina 189).

Questo tipo di comprensione è ciò di cui si nutre la democrazia, che è scelta collettiva ma anche controllo. Ma se non si capisce cosa succede sotto la coltre del momento, diventa complicato controllare. Il Metodo Machiavelli ci invita allora a rifiutare l’ubriacatura nuovista come condizione essenziale proprio per essere in grado di cogliere le novità vere, i punti di svolta, le possibilità genuine. E nel fare questo, il libro si trasforma esso stesso in un consigliere per qualunque lettore preoccupato di leggere i fatti politici della contemporaneità.

E qui arriviamo alla seconda ragione che ne fa, forse in maniera non voluta, uno di quei libri che circolano e circoleranno di vita propria. In questa epoca che magnifica continuamente l’importanza, la centralità, del leader e quasi il suo potere taumaturgico, questo libro ne mette a nudo, al contrario, la sostanziale fragilità. Con grande efficacia chiarisce che i grandi leader sono soprattutto coloro capaci di circondarsi di uno staff all’altezza delle proprie ambizioni, persone solide, libere e in grado di tenere testa al leader stesso nei momenti chiave. Chi non ne fosse in grado rimarrà un aspirante leader, destinato a un rapido oblio, e capace al massimo di increspare leggermente il mare della storia, ma senza mai immergervisi.

Il Metodo Machiavelli, dunque, nella quasi sacralità della funzione che riconosce al leader ne circoscrive l’effettivo potere: non bisogna però dimenticare che rendersi conto dei propri limiti è una condizione essenziale per poter liberare al massimo le proprie potenzialità. Pertanto, qualunque aspirante leader dovrebbe leggere questo libro, e forse i numeri che sta facendo dipendono anche dal fatto che notoriamente in Italia gli aspiranti leader abbondano.

Infine, c’è una cosa che non ho letto nel libro e vorrei leggere nel sequel. Il Metodo Machiavelli è un libro intimamente progressista, interessato a spiegare alcuni meccanismi nella speranza che essi servano fini di liberazione piuttosto che di oppressione. Eppure nella storia si sono succeduti leader oppressivi e dispotici di gran successo, autocrazie e regimi totalitari, che certamente dovevano godere di staff e consiglieri efficaci, perché sappiamo che altrimenti sarebbero durati ben poco. Ecco: un viaggio nel lato oscuro del Metodo Machiavelli potrebbe essere illuminante.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_