Non lo so

Io sono d’accordo con Massimo Gramellini: se l’alternativa alla violenta aggressività da curva dei cattivi diventa la violenta aggressività da curva dei buoni, mi chiamo fuori. O meglio, sono i presunti buoni che si chiamano fuori: lo abbiamo detto tanto tempo fa che “i buoni” lo sono dimostrandolo ogni giorno, non per autonomina o definizione. E che un grande paese si costruisce – se si costruisce – unendo e creando maggioranze e condivisioni, non dividendolo in due e poi cercando di far vincere la propria metà.

Ma all’Italia isterica del Palio, in cui ciascuno corre per sentirsi migliore degli altri, preferisco quella armonica della staffetta. Dove si corre insieme, sovranisti e mondialisti, e insieme si può vincere: ciascuno sulle proprie gambe, ma smettendola di pestarsi i piedi.

L’obiezione che mi faccio da solo è che quell’”Italia armonica della staffetta” quanta gente conta oggi? Diciamo che esiste, perché esiste e la vediamo, la frequentiamo ogni giorno e ne siamo commossi, che vinca la staffetta o ci porga con gentilezza un caffè al bar o ci risolva un problema dopo un’ora di coda all’anagrafe (poi capita anche che ci sia molta Italia schizofrenica, armonica ora e isterica tra dieci minuti, e quello è un tema). Considerato che si tratta di una minoranza (e noi non siamo gente che si compiace di essere minoranza, anzi), qualcuno lavora per farla crescere, oppure si sta riducendo persino? E allora limitarsi a “preferirla”, non è una ritirata?

Temo di sì, mi rispondo: e rimetto in circolazione il solito sterile pensiero su “cosa si fa, di nuovo?”. Ma non trovo nessun gusto a cercare dei “nemici”, e soprattutto so una cosa: tirare la riga in mezzo e dire “noi di qua, voi di là” è stata l’Italia degli ultimi dieci anni, vent’anni, cinquant’anni, forse di sempre. Le cose sono andate bene nei rari momenti in cui quella cosa lì è saltata. Un PresdelCons di qualche anno fa ci aveva provato a dire “basta divisioni, vediamo di unire e parlare a più italiani possibile, vediamo di cercare consenso tra tutti”: la pazienza gli è durata pochissimo, poi ha cominciato a chiamare gli altri “gufi”, ha tirato a sua volta una riga in mezzo (o un cerchio intorno), e quella storia è finita prima di nascere. Certo, il mondo va in questa direzione, di dividere (gli “opposti estremismi” ormai quasi si toccano al centro, non solo agli estremi): proprio per questo chiamarsene fuori è rivoluzionario
Non lo so, sono d’accordo con Massimo Gramellini.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).