L’illusione dello scrittore

Sarebbe interessante una ricerca scientifica che interpelli gli autori di un libro sui risultati della pubblicazione rispetto alle loro aspettative: col tempo mi sono fatto l’idea che sia uno degli impegni che hanno il gap maggiore tra investimento di speranze e soddisfazioni, superando persino l’acquisto del biglietto della lotteria, su cui si è in grado di avere maggiore lucidità statistica.
Nelle ultime settimane mi è capitato di parlare con alcuni scrittori appena pubblicati, e vedere le misure diverse della loro ansia e incipiente delusione.

Se si eccettua un numero limitatissimo di autori di bestseller o comunque di libri di successo – quelli che superano le diverse decine di migliaia di copie vendute – e che rappresenta una quota meno che millesima degli autori di libri, quasi tutti gli altri scrivono un libro con la speranza che “svolti” e faccia il botto, come avviene in certi limitati “casi editoriali” di cui i giornali sembrano parlare spesso ma che sono invece limitatissimi. È normale: è un settore che suggerisce – ingannevolmente, con la complicità delle case editrici – che un’improvvisa celebrità e un cospicuo successo possano essere raggiunti da perfetti sconosciuti fino a quel momento poco gratificati e anche senza particolari competenze (siamo un paese di allenatori della nazionale e autori di libri). E che questo possa avvenire non nella disdicevole casa del Grande Fratello, ma su una scena di grande autorevolezza: i libri.

Per non far suonare sprezzante o saccente questo ragionamento – non lo è – aprirò qui una parentesi autobiografica sul tema: io ho pubblicato tre libri a mio nome, da dieci anni a oggi. Niente letteratura, e tutti e tre un po’ raccogliticci: non sono capace della concentrazione necessaria alla “creazione” di un libro. Però sono contento di come sono venuti, e per “raccoglierli” mi sono dovuto impegnare un po’ di mesi. E anch’io – come la gran parte degli autori – ho immaginato che quei libri potessero avere successi maggiori di quelli che hanno avuto. Ora, lucidamente, penso che siano andati bene (nessuno sa mai quanto abbiano venduto davvero, i libri: ma credo che il primo siano state tipo 12 o 15mila copie, e gli altri due intorno alle 8mila), ed era stata la mia immaginazione ad avere esagerato sperando di meglio. Come è successo? Per via del meccanismo di cui sopra, quello dell’illusione dell’autore di libri. Che lo sa che è un mercato difficile, lo sa di non avere scritto I fratelli Karamazov, eccetera: ma lo stesso, in un angolo ingombrante delle sue speranze, immagina che possa accadere, che il suo libro fa il botto (ora non voglio esagerare, nel mio caso: il botto per me stava nel vendere il doppio o il triplo, e che se ne parlasse molto, almeno da dire tutti “è come diceva Luca Sofri” quando poi quelle cose sono diventate attuali). Si perde obiettività, si ha l’impressione di avere fatto una cosa speciale: che invece nello stesso momento stanno facendo altre centinaia di persone. Fine della parentesi.

La cosa interessante è che quell’azzardo – mesi e anni di lavoro per vendere al massimo poche migliaia di copie, al massimo: come mettere tutti i propri risparmi su un numero della roulette – è un fattore importantissimo del sistema editoriale vigente, che saggiamente ci marcia: arruolando autori e autori e autori con l’idea di non perderci granché in costi, nel peggiore dei casi, e però hai visto mai che invece. Perché gli editori stessi sono complici e vittime di questa grande illusione: hai visto mai che questo libro fa il botto, per gli imperscrutabili e accidentali (e spesso indipendenti dalla qualità del prodotto) meccanismi che possono rendere uno di quei libri un “caso editoriale”.

E così ogni giorno che passa in qualche angolo del paese (o del mondo) un autore che solo pochi giorni o poche settimane fa aveva pubblicato infine il suo libro si abbatte un altro po’ constatando che anche oggi non è entrato in classifica, che anche oggi non ha avuto recensioni, che anche oggi non ha visto la sua copertina nella vetrina di una libreria dove gli è capitato di passare (“capitato”, poi), e anzi oggi l’hanno già spostato in uno scaffale più nascosto. E quel sogno grande o piccolo di “svoltare” che lo aveva accompagnato – sia che fosse al suo primo libro, sia che fosse uno scrittore professionista di onesti risultati – scaldando e motivando il suo lavoro di mesi o di anni, si estingue nel giro di poche settimane, rovinando a molti anche i bei piccoli risultati del loro lavoro (qui non sto parlando di me, eh: io sono davvero contento e grato dei miei piccoli risultati). E aggiungendo un altro titolo al grande deposito infinito dei libri dimenticati, in un percorso simile a quello dell’Arca Perduta, se vi ricordate il meraviglioso finale.

E insomma, ho scritto questo post per loro: scrivete libri se vi piace, tenetevi caro il bello di averli scritti e tutti quei lettori – da dieci a diecimila – che vi sarete meritati. Non ve lo rovinate con troppi investimenti di passioni, pensando di diventare un caso editoriale di cui tutti scriveranno: quello non succederà, fate prima con la roulette.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).