Biografami questo

Biograph (1985: cofanetto con materiale registrato dal 1962 al 1981).

(Il disco precedente: Empire Burlesque.
Il disco successivo: Knocked Out Loaded).

Nel mezzo della notte ti sveglia una cattiva notizia. Qualcuno (al telefono?) ti sta dicendo che Percy, il tuo amico Percy, è in grossi guai. Novantanove anni di carcere! Anche se è notte fonda, scrivi al giudice che sarai al tribunale appena possibile. Il giorno dopo eccoti alla sbarra: cos’è successo? Un incidente, sulla statale, quattro morti, lui era al volante. Omicidio stradale. Va bene, ma novantanove anni? Percy, lo conosco meglio di me stesso, non farebbe male a una mosca! Ma ci sono i testimoni. Posso almeno ricorrere in appello? Troppo tardi. Se ne vada per favore, la seduta è tolta.


Di tante canzoni che ha scritto Dylan, la cosa più simile a un incubo l’ha registrata nel 1964. Si chiama Percy’s Song e non è così strano che non l’abbia inclusa in The Times They Are A-changin’. Non solo per la durata – sette interminabili minuti. Che ci avrebbe fatto uno schizzo kafkiano in un album di canzoni d’amore e di protesta? Ma gli incubi invecchiano meglio dei proclami e dei madrigali – in effetti gli incubi non invecchiano, al limite si nascondono nelle fessure; e quando Dylan da qualche parte in un cassetto la ritrovò, Percy’s Song era angosciosa e irrisolta come il primo giorno. Forse ai tempi di The Times gli sembrava la sua canzone più antica, più vicina al mistero delle antiche ballate irlandesi da cui mutua la melodia. Nel 1985, quando uscì su Biograph, era una mera curiosità che serviva a rendere più speziato il più grosso Greatest Hits mai pubblicato. A quel punto Percy era già uscita dai cassetti grazie ai Fairport Convention, che ne avevano stemperato l’angoscia con la melodia. Oggi Percy è una delle canzoni più rappresentative del catalogo dylaniano. Potrebbe averla registrata nel 1964, come nel 1994, come ieri. Gli incubi non invecchiano.

– Lay Lady Lay (1969) – Baby, Let Me Follow You Down (1962) – If Not for You (1970) – I’ll Be Your Baby Tonight (1968) – I’ll Keep It with Mine (1964)Il primo lato del primo disco potrebbe essere una storia d’amore. Lay Lady Lay è un modo molto cinematografico di cominciare, già sul materasso… poi con Baby Let Me Follow comincia il flashback. 

D.W. Griffith quando lavorava alla Biograph.

D.W. Griffith quando lavorava alla Biograph.

In inglese, Biograph non vuol dire biografia – sì, anch’io c’ero cascato, e invece no. Per il Webster on line “biograph” è soltanto un verbo: “biografare”. Io biografo, tu biografi, il tale è biografato. Ma all’inizio del Novecento c’era anche il sostantivo, ed era una specie di sinonimo per “cinematografo”. L’American Mutoscope and Biograph Company, fondata nel 1895, realizzò più di 3000 corti e 15 lungometraggi, prima di fondersi con la concorrente Edison. È la compagnia nella quale si fece le ossa D.W. Griffith.

Se potessimo mettere il primo disco di Biograph sul piatto, ritroveremmo il Dylan del 1969, che mentre cerca di rendere credibile una svolta country, azzecca un’atmosfera inedita con un brano fatto di slide guitar, bongo e campanaccio. Da lì a poco siamo nel 1962, sui verdi pascoli dell’università di Harvard, Dylan si sta facendo insegnare da Eric Von Schmidt un nuovo giro di accordi. Siamo nel 1970, è passato a salutarlo George Harrison per confermargli che i Beatles si sono sciolti per sempre e per lavorare insieme a una canzone. Siamo nel 1968, la polizia irrompe nelle università e spara agli studenti che non vogliono partire per il Vietnam, ma Dylan vuole soltanto cantare languido I’ll Be Your Baby Tonight. Siamo nel 1964, Dylan incontra Nico e le regala I’ll Keep It with Mine. Siamo in qualsiasi posto, in qualsiasi momento.

– Mixed-Up Confusion (1962) – Tombstone Blues (1965) – The Groom’s Still Waiting at the Altar (1981) – Most Likely You Go Your Way (Live, 1974) – Like a Rolling Stone (1965) – Jet Pilot (1965). È decisamente un lato blues.

NicoChelseaGirlMixed-Up Confusion è in assoluto il primo singolo pubblicato da Dylan, nel dicembre del 1962, e a sorpresa è un rock’n’roll. Una specie. Un esperimento. Non funzionò e dopo poco la Columbia lo ritirò dal commercio – o forse non si diede la pena di commerciarlo troppo. Lo stesso Dylan ha ricordi molto vaghi di tutta la faccenda: un mattino gli telefonano di venire alla Columbia a incidere un singolo con una band. Lui non ha un pezzo pronto e lo scrive sul taxi. Il suo primo disco acustico aveva venduto qualche migliaio di copie, la Columbia non sapeva ancora esattamente cosa fare di lui. Si saranno detti: proviamo il rockabilly (per accorgersi, magari a master già incisi, che in effetti il tizio aveva difficoltà ad andare a tempo con la band). Jet Pilot nel 1985 aveva vent’anni esatti e doveva proprio sembrare un frammento estratto da un cassetto per tappare un buco. Una singola strofa di uno di quei rock-blues torrenziali che nel 1965 gli venivano facili come respirare: l’istantanea di un donnone che fa impazzire tutti i ragazzi del quartiere, tutti piloti da jet che la puntano come un cacciabombardiere – ma se potessero avvicinarsi un po’ alla carlinga si accorgerebbero che “non è una donna, è un uomo”! Oggi è rilevante in quanto primo rock in assoluto su un travestito (in anticipo su Lola dei Kinks, che però ebbero il fegato di pubblicarla): veramente troppo poco per assegnare a Dylan una qualche sensibilità queer.

– The Times They Are a-Changin’ (1964) – Blowin’ in the Wind (1963) – Masters of War (1963) – The Lonesome Death of Hattie Carroll (1964) – Percy’s Song (1964). (Se almeno Biograph fosse un caos cronologico totale, uno si metterebbe il cuore in pace: avrà mescolato le canzoni come carte, ok. E invece ci sono intere sequenze che un senso ce l’hanno, ad esempio la seconda facciata del primo disco è tutta di grandi cavalli di battaglia acustici del ’63-’64. Come quando la funzione shuffle di uno smartphone sembra volerti dire qualcosa).

chronicles ICi sono vari modi di scrivere una biografia. Il più noioso è senz’altro partire dall’inizio, come David Copperfield: “Vengo al mondo”, e proseguire nell’unica direzione consentita. Esistono numerose biografie di Dylan in commercio: cominciano tutte con lui che viene al mondo a Duluth, Minnesota. Anche questa cosa che sto scrivendo alla fine sembrerà una biografia, almeno dal disco più antico a quello appena uscito. E poi esiste l’autobiografia che Dylan ha iniziato a scrivere e che non completerà mai (tutte le autobiografie sono incomplete, se uno ci riflette). Si chiama Chronicles I e comincia con lui che arriva negli studi della Witmark nel 1961. Indugia un po’ nei localini del Village finché a un certo punto volti la pagina ed è una rockstar in crisi d’identità, nel 1970: orripilato dalla scena del festival di Woodstock e spaventato dagli hippie che gli entrano in casa. Volti un’altra pagina e sei nel 1986, Dylan si è fatto male a una mano e considera la possibilità di non suonare mai più dal vivo, di non scrivere mai più una canzone. Un’altra pagina ed è di nuovo nei localini del Village. Che senso ha? Nessuno, Dylan semplicemente non è David Copperfield. Ha buttato giù le prime cose che gli venivano in mente finché non ha messo assieme abbastanza pagine. Proprio come quando incide i dischi, già. E non ha messo i capitoli in ordine: non lo ha mai fatto, nemmeno nei suoi Greatest Hits, uno più caotico dell’altro. Perché per Bob Dylan evidentemente il tempo non esiste.

– Lay Down Your Weary Tune (1963) – Subterranean Homesick Blues (1964) – I Don’t Believe You (1966) – Visions of Johanna (Live, 1966) – Every Grain of Sand (1981). (Per esempio: secondo me questa facciata non ha nessun senso. Oppure: L’Eden primigenio, la caduta negli inferi sotterranei, e la redenzione! Ma immagino che se pescassi cinque canzoni di Dylan a caso potrei individuare una storia anche più credibile).

220px-Kinks_Lola_Uk_CoverCerte canzoni riescono a stupirti anche al millesimo ascolto. Ma funziona meglio se non te le aspetti, e questo va abbastanza contro al concetto di album (un concetto che Dylan ha sempre difeso, con alti e bassi lungo la carriera). L’abitudine ad ascoltare le stesse canzoni nella stessa sequenza le smorza un po’: e anche la strumentazione simile, la produzione che spesso si dà proprio l’obiettivo di limare le asperità, le sorprese, come se ogni canzone dovesse scivolare dopo la seguente. Poi un giorno riascolti Visions of Johanna e pensi: ma questa è straordinaria, non me ne ero mai accorto – o meglio, erano anni che non me ne accorgevo. C’è una forza in tutte quelle cose incomprensibili che dice, un’immediatezza, una forza e un dolore che ti danno la scossa, quella famosa scossa elettrica nel cranio. In Biograph c’è una versione live acustica del 1966: forse Johanna avrebbe dovuto essere sempre acustica. Segue, senza nessun motivo ragionevole, un brano del 1981, Every Grain of Sand, che dopo Johanna sembra ancora più finto e stucchevole di quanto non sia. È che ormai ai cori delle dylanettes c’eravamo assuefatti – ma ritrovarli a tradimento qui, dietro l’angolo del 1966, è una pugnalata.

– Quinn the Eskimo (1967) – Mr. Tambourine Man (1964) – Dear Landlord (1968) – It Ain’t Me, Babe (1964) – You Angel You (1974) – Million Dollar Bash (1967) (Quinn l’eschimese, l’Uomo Tamburino e il Caro Proprietario sono tre personaggi maschili da cui Dylan, forse, vuole prendere le distanze: “Non Sono Io, Babe!” Seguono due pezzi a caso, davvero, secondo me li ha messi a caso). 

Nel 1985 la versione Basement di Quinn the Eskimo era ancora inedita. Quando era stata scartata dall’edizione del 1974 c’erano state proteste. Io non ho mai capito cosa ci trovi la gente in Quinn the Eskimo. Secondo me neanche Dylan. Ci ha pure fatto un sacco di soldi. Boh. Un’altra cosa che io e Dylan non capiamo è la fissa che hanno in tanti per John Wesley Harding. Nella lunga intervista di Cameron Crowe che era, a detta di Dylan, l’unico vero motivo per acquistare il cofanetto, lo afferma abbastanza inequivocabilmente: è un disco fatto in fretta e pubblicato quasi di nascosto, nell’impossibile speranza di passare inosservato. Le canzoni non avevano molto senso, il titolo non ne aveva nessuno, era un modo di valorizzare il brano più debole del mazzo. A parte All Along the Watchtower, inclusa nella versione di Before the Flood, su Biograph resiste soltanto Dear Landlord, che in mezzo alle altre sembra davvero una prova di lavorazione, un tentativo estemporaneo di mettere assieme due o tre frasi e vedere se funzionano. Alla fine, riascoltate nella sequenza più o meno casuale di Biograph, le canzoni migliori risplendono di luce propria, e le mediocri si autoaccusano.

 – To Ramona (1964) – You’re a Big Girl Now (1974) – Abandoned Love (1975) – Tangled Up in Blue (1974)  – It’s All Over Now, Baby Blue (1964) (Questa è un’altra storia d’amore, raccontata con brani che hanno dieci anni di differenza. Un collage, e sarebbe davvero molto strano che tutti i frammenti del collage ritraessero la stessa donna).

biograph

Se proviamo a rimettere in ordine i brani che Dylan ha mescolato in Biograph, scopriamo che ci sono trenta brani degli anni ’60, diciotto degli anni ’70, cinque del periodo 1980-1981 (mica pochi). L’anno più rappresentato (dieci brani!) è il 1965. In media ogni disco di studio è rappresentato da due brani. Gli unici esclusi sono Self PortraitDylan (non sorprende) e Desire (sorprende molto). Isis e Durango compaiono in versione live, ma non c’è Hurricane, non c’è Sara: in un cofanetto di cinque dischi non hanno trovato posto. Però c’è Abandoned Love, uno dei primi brani a essere eseguito con Scarlet Rivera, che se fosse stato pubblicato su Desire sarebbe uno dei brani migliori di Desire. Invece l’unico modo legale di procurarselo, prima di Spotify e compagnia, era questo maledetto cofanetto di cinque dischi (o tre cd), pubblicato dalla Columbia nel 1985 per festeggiare il… boh… 23esimo anno di carriera? 44esimo compleanno? Per recuperare un po’ di investimenti su Dylan, visto che malgrado tutta la promozione Empire Burlesque non era andato un granché bene (segue la prima delicata versione di newyorkese di Tangled Up In Blue). Biograph invece diventò facilmente disco di platino, dimostrando purtroppo che per una rockstar un po’ stagionata la strategia migliore è spennare i fan: meno te ne restano, più dischi devi costringerli a comprare. Biograph è stato il primo uno dei primi cofanetti del rock, un’espressione artistica passata nel giro di 25 anni dalla strada al museo (Dylan è in circolazione da più di 50).

– Can You Please Crawl Out Your Window? (1965) – Positively 4th Street (1965) – Isis (Live, 1975) – Caribbean Wind (1981) – Up to Me (1974) 

PAT GARRETT & BILLY THE KID

Mentre ascoltavo l’incazzatissima versione di Isis dal vivo, chiedendomi se l’avessi già sentita, ho avito un’illuminazione: forse racconta la storia del set di Pat Garrett. Irretito da promesse d’oro e gioielli, Dylan lascia la moglie alla volta di Durango (in realtà Sara venne con lui, ma scappò abbastanza presto coi bambini), col proposito di ritrovare il Corpo di Billy the Kid. Ma scavando trovò solo sabbia e detriti. È un’idea come un’altra. Ma non mi era mai venuta in mente.

Biograph insomma somiglia alle cassette che mi facevo da ragazzo per restare sveglio al volante, con brani presi alla radio accostati senza criterio, di modo che ognuno arrivasse dopo l’altro con un effetto sorpresa, come un’esplosione. È l’unico modo di non annoiarsi e si sa, chi si annoia al volante muore. Dylan si annoia facilmente, se fosse uno studente di oggi non sarebbe difficile diagnosticargli un disturbo dell’attenzione. Quello che stiamo facendo qui di solito – ascoltare i suoi dischi in rigoroso ordine cronologico, cercare di mettere ordine nella sua discografia, nella sua vita – per lui non ha senso. Tutto accade nello stesso momento nello stesso biografo, pardon, cinematografo. Tutto si sovrappone. Tra canzoni come Abandoned Love e Up to Me (1974, scartato da Blood on the Tracks) e Caribbean Wind ci sono sette anni, un divorzio e una conversione: eppure sembrano raccontare la stessa storia di un amore sbagliato. Di lì a poco i multiplayer di cd avrebbero reso normalissimo personalizzare le selezionare o addirittura randomizzarle. Biograph forse è il primo prodotto di Dylan pensato per un multiplayer, la prima anticipazione di quello che succede oggi a un ragazzino che vuole scoprire insomma chi era questo Bob Dylan e prova a cercarlo su Youtube o Spotify: playlist di grandi successi a caso, anni Ottanta e Sessanta accostati senza criterio. Probabilmente è più facile cominciare ad apprezzare Dylan così che ascoltando in fila tutti i cd che escono con l’Espresso.

– Baby, I’m in the Mood for You (1962) –  I Wanna Be Your Lover (1965) – I Want You (1966) – Heart of Mine (Live 1981) – On a Night Like This (1974) – Just Like a Woman (1966) (Questa più che una storia d’amore è una storia di desiderio. Finisce comunque male come le altre).

TattooYou81I Wanna Be Your Lover è uno scherzo del 1965, Dylan che rifà i Rolling Stones che suonavano la canzone dei Beatles. Tra Highway Blonde On Blonde Dylan stava cercando di rielaborare Beatles e Rolling Stones come aveva rielaborato Woody Guthrie e le leggende celtiche, ma aveva meno margini di azione e l’incidente in moto mise fine anche a questo esperimento. In I Wanna Be Your Lover, come in Fourth Time Around, Dylan vuole cercare di inserire complessità in strutture che forse non la reggono. Ma a proposito di Rolling Stones: nel 1981, mentre Dylan registrava un po’ a caso il suo Shot of Love (in Biograph c’è una versione live che rende giustizia a Heart of Mine), Jagger, Richards e compagnia pubblicarono forse il loro ultimo grande classico, Tattoo You. La cosa più interessante del disco è che non conteneva materiale nuovo, proprio come Biograph: era un’operazione di svuotamento cassetti che nasce da una situazione che Dylan conosce molto bene: era ora di andare in tour ma non c’era un disco pronto. A quel punto però, dopo vent’anni di registrazioni, vuoi che in casa Stones non si trovasse qualche buon ingrediente da servire in tavola? Start Me Up era un vecchio aborto reggae scartato da Some Girls: tre anni dopo era in cima alle classifiche di tutto il mondo. Immagina se Dylan avesse preso l’esempio.

– Romance in Durango (live 1975) – Señor (1978) – Gotta Serve Somebody (1979) – I Believe in You (1979) – Time Passes Slowly (1970) – Proprio quando cominciavi a pensare che avesse cancellato tutta la fase cristiana, ecco dieci minuti di fila da Slow Train Coming. Dopodiché c’è un pezzo qualsiasi di New Morning, se qualcuno sa che senso abbia quest’ultima scelta per favore mi contatti.

Immagina cioè che in luogo del monumento caotico che è Biograph, Dylan avesse scelto di incidere il suo Tattoo You: solo dieci brani inediti, quaranta minuti. Sarebbe ovviamente il suo disco del decennio. PercyAbandoned LoveCaribbeanUp to MeI Wanna Be Your LoverBlind Willie McTell, un altro paio di inediti dai Witmark Demos o dai Basement Tapes o dalla fecondissima stagione tra Saved Shot of Love (High AwayMagicHallelujah, ce n’era di roba). Non sarebbe stato fantastico ascoltare un disco del genere, e salutare la rinascita artistica di Dylan? Ma probabilmente Biograph ha fatto più soldi.

– I Shall Be Released (versione del 1971) – Knockin’ on Heaven’s Door (1973) – All Along the Watchtower (live, 1974) – Solid Rock (1980) – Forever Young (Demo del 1973).

Alla fine non sono nemmeno sicuro di averlo mai ascoltato, Biograph. Su Spotify non c’è, anche se qualcuno ha provato a ricostruirlo sotto forma di playlist. Gli inediti – nel cofanetto ce n’erano ben diciotto – si possono ascoltare in uno pseudoalbum intitolato Side Tracks. Fa un po’ effetto pensare che Biograph è più vicina al 1962 del primo disco di Dylan che al 2017: che insomma non siamo neanche a metà del percorso. Le raccolte quando escono sembrano sempre definitive, ma invecchiano prima degli altri album. Le canzoni sciolte invecchiano ancora meno. Percy’s Song non invecchia proprio, in quanto incubo: si nasconde in qualche fessura del servizio streaming e quando meno te lo aspetti, tra un minuto o 99 anni, ti trova dove sei, con la pioggia e il vento.

(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966Blonde On BlondeLive 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert1967: The Basement TapesJohn Wesley Harding1969: Nashville Skyline1970: Self PortraitDylanNew MorningAnother Self Portrait1971: Greatest Hits II1973: Pat Garrett and Billy the Kid1974: Planet WavesBefore the Flood, 1975: Blood on the TracksDesireThe Rolling Thunder Revue1976Hard Rain1978: Street-LegalAt Budokan1979Slow Train Coming1980Saved1981Shot of Love1983Infidels1984Real Live1985Empire Burlesque, Biograph1986: Knocked Out Loaded…)

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.