Piazza Italia

Entro nella casa. Sto tremando perché ho sbagliato abbigliamento. Ho un completo Sisley pagato poco, convinto di aver fatto un affarone, scoperto solo dopo, in motorino, che trattasi di completo estivo. Ecco perché costava poco.

Siamo a novembre.

Tremo. Ho due ghiaccioli conficcati nei fianchi che mi fanno stringere i denti ma quando arrivo alla porta della casa faccio finta di niente, saluto con sorriso, che al tempo ancora ci tenevo a far buona figura.

In casa c’è un grande schermo lcd o tft, insomma di quelli piatti spessi poco o nulla, come quello che ho adesso, ma quando entro nella casa, in quel momento, in quell’anno, non l’ho ancora e manco me lo potrei comprare andando a piangere in cinese da Mediaworld.

Questa cosa del piangere in cinese è un modo di dire delle mie parti, non so se ha una diffusione nazionale. Di certo è buffo come si sia rafforzato il senso, negli ultimi tempi: “Andrò a piangere in cinese in una azienda cinese, magari mi pigliano” ha detto uno.

Vicino a casa mia c’è un grande magazzino che vende abiti di qualità media.

Si chiama Piazza Italia. Sembra abbandonato, e il parcheggio ha sempre qualche posto vuoto in più, ogni settimana.

Esteticamente, si è adeguato alla moda della zona, tutto ha lo stesso color “nessuno ci cura”, le saracinesche pregano per essere abbassate, tanto si sentono stanche e inutili. Sicuramente da qualche parte son già pronti i cartelli Vendesi e Affittasi.

Se percorrete la strada che da Pisa porta a Pontedera, e intendo la strada dove vivono e lavorano le persone, non la superstrada fatta per la vita esclusiva delle auto, imparerete l’italiano leggendo Vendesi e Affittasi ogni due metri. Qui c’era il mobilificio Magnani. Vendesi. Qui costruiva serramenti la famiglia Bonini: Affittasi.

Ad avere soldi (mi piacerebbe avere tantissimi soldi) ad avere soldi si potrebbero fare grandi affari. Questi che vendono hanno tutti l’acqua alla gola e uno potrebbe presentarsi là, al loro magazzino o capannone gran vetrata un tempo lusso, con una valigetta piena di contanti e dire: Allora? Vendesi?

E comprare, cash, esattamente al prezzo dell’acqua alla gola, non un centimetro di più.

Basterebbe non avere peli sullo stomaco e non farsi commuovere da queste famiglie di falliti.

Si può fare, non è difficile. La criminalità organizzata, ad esempio, lo fa.

Questo negozio, Piazza Italia, è ancora aperto, anche se sulle pieghe ai lati delle bocche delle cassiere puoi vedere un angolo che si fa più acuto ogni giorno, scendendo come un indice FuziMib della prossima rovina. Loro sanno. Non fiatano. Contano i giorni. A volte ti rispondono male.

Ho comprato una cappa per la cucina in un magazzino di questi che stanno per chiudere.

Una cappa aspirante settanta di larghezza. Era l’ultimo oggetto. Mi hanno fatto lo sconto. Il giorno dopo sono ripassato e c’era una grande offerta: CHIUDE TUTTO. Settanta per cento di sconto. Accidenti. Ad aver avuto pazienza. Se uno avesse pazienza ed un po’ di soldi, in questo periodo, potrebbe fare affari d’oro. Avrei pagato la cappa aspirante meno della metà.

Un amico mio fa il geometra per un comune e si occupa delle aste giudiziarie. Dice che questo è un periodo perfetto per fare affari d’oro. Non immaginate la quantità di case che, una volta saltate le rate del mutuo, vengono requisite e rivendute. Si fanno affari d’oro, basta avere dei soldi a disposizione. Con duecentomila euro ti prendi una villa con giardino, duecento metri quadri di casa, una roba che fino a tre anni fa, avresti dovuto pagare tre volte tanto. Sono immobili che sono stati confiscati, qualcuno ha fatto il furbo, si è comprato la villa e poi non è riuscito a pagare. Magari era sicuro di riuscire a pagare, perché aveva un magazzino sulla via tra Pisa e Pontedera dove vendeva serramenti mentre si diceva che la crisi mica c’era e adesso su quel magazzino c’è la scritta Vendesi e nessuno se lo compra. Almeno, non persone normali che vogliano fare impresa. C’è la criminalità organizzata. Quella compra. Valigetta. Bella azienda. Bella villa. Grandi affari, per loro.

Sta chiudendo tutto nella mia zona. Vien quasi da piangere. Ho incontrato un tedesco, era stato a Pisa a vedere la torre pendente. Arrivava da Pontedera. In venti chilometri aveva imparato a pronunciare Vendesi e Affittasi in un italiano impeccabile.

Piazza Italia è ancora aperta. Resiste, come fosse una linea sul Carso.

La cosa sinistra è il magazzino che gli ha aperto accanto.

Un giorno sono passato e invece di constatare l’ennesima chiusura ho scoperto con sorpresa una recente apertura.

Un posto nuovo.

Brutto, questo va detto. Colori tristi e aria dimessa già da subito, come se si fossero voluti portare avanti con il lavoro di chiusura. AFFITTASI. VENDESI.

Brutto, si può dire, non si offende mica nessuno. Adesso credo pure che sia stata una scelta di stile: Due colonne in finto stile dorico in cartone pressato ai lati, un gran triangolone di cartone pure a fare il partenone della zona industriale sull’ingresso ed una scritta: PIAZZA CINA.

Sì. Lo avevano fatto: PIAZZA CINA. Avevano aperto una azienda di prodotti cinesi, vestiti cinesi, accanto all’azienda italiana di vestiti cinesi e prodotti cinesi.

La nostra PIAZZA ITALIA era stata sfidata! E poi, che faccia tosta, la avevano chiamata proprio così: PIAZZA CINA.

Sembrava un affronto infantile, quelli da cortile delle medie. All’inizio ti guardo, ti faccio il segno con la mano a dita strette e tese che vuol dire: “ti aspetto fuori” e poi, però, davvero, ti aspetto fuori e ti sfido. Dritto in faccia, occhi negli occhi, un golino (tipico colpo locale, portato a mano aperta dritto al collo dell’avversario) e poi ti guardo e dico “E allora? Cosa vuoi? Qualcosa da dire?”.

Sembrava così. Ti edifico a venti metri di distanza e mi chiamo PIAZZA CINA. Che tutti devono sapere che ti sfido e non ti temo.

La vicinanza, una ventina di posti auto di parcheggio vuoto, il parallelismo che adesso riscontravo tra l’altezza delle insegne ed i caratteri usati e pure quell’aspetto decadente, l’estetica che PIAZZA ITALIA si era guadagnata negli anni, tentando di rimanere a galla, mentre gli angoli delle bocche delle cassiere piegavano sempre più in giù, a PIAZZA CINA se lo erano messo già in partenza. Come un abito da lavoro il più pratico possibile.

Anche a PIAZZA CINA sapevano che non sarebbe andato nessuno (e infatti non va nessuno) e non valeva la pena mettere un abito buono e le lucette e le paillettes. Erano partiti così, già dimessi, come se dovessero chiudere da un momento all’altro. Sapendo, però, che non avrebbero chiuso affatto.

AFFITTASI. VENDESI.

Entro nella casa. È in un quartiere che mi dicono prezioso della nostra capitale. Nell’appartamento, che noto per l’altezza dei soffitti ed i soppalchi e gli arredi di design, c’è un grande televisore acceso, uno schermo piatto. L’immagine è un fuoco di camino scoppiettante. La legna che lo fa ardere è un dvd che immagino abbia il titolo “Romantico fuoco del camino con sonoro realistico”.

Quindi, come la pentola di Pinocchio dipinta sul muro, in questo bellissimo appartamento c’è uno schermo piatto che manda l’immagine di un fuoco scoppiettante.

Lo scoppiettio viene diffuso nella sala da pranzo, con un suono, devo ammetterlo, realistico.

Alla cena ci sono persone di sinistra altolocate. Non racconto niente di quella cena che mica voglio mancare di rispetto a nessuno, sopratutto dopo che mi hanno dato da mangiare. Ricorderò soltanto che al momento dell’andarmene, dopo che mi avevano visto arrivare congelato, causa completo Sisley fuori stagione, chiesi un giornale. Un quotidiano per foderarmi il corpo, come insegnano i barboni. Nessuno pensò di noleggiarmi una felpa e mi esaudirono un paginone centrale.

In questi giorni su Twitter hanno fatto un giochino: Un film su Berlusconi. Inventatevi il cast.

Tutti quanti hanno snocciolato nomi di attori e di attrici per le varie parti. Credo che sia stato fatto una specie di sondaggio poi, perché addirittura il noto quotidiano La Repubblica lo ha riportato sulla sua versione Online.

Nel sondaggio, per la parte principale, quella di Silvio Berlusconi, aveva vinto Jack Nicholson.

(Un minuto di silenzio).

Jack Nicholson aveva vinto nel sondaggio. Questo, per chi non si intende di sondaggi, significa che la maggior parte dei votanti ha pensato e scritto che il volto, il carattere migliore per interpretare Silvio Berlusconi è quello di Jack Nicholson.

Quanta segreta ammirazione si nasconde in quella scelta?

Bombolo è morto, grandissimo Bombolo, quindi capisco che non potesse esser votato e Buzzanca è troppo alto e vecchio.

Ma Jack Nicholson?

Verve e fascino e brillantezza.

A quella cena, tra le altre cose, oltre al teorema per il quale Madre Teresa di Calcutta aveva questo talento nell’occuparsi dei poveri in quanto Albanese e quindi, insomma, via, diciamolo, la conoscenza della povertà l’aveva nel sangue, venne fuori Silvio Berlusconi.

Mi ricordo che la parola genio gli fu accostata cento volte.

“Comunque, dovevo ammettere”, mi si diceva, dovevo ammettere che “in fondo è un genio, dai.”

Un genio.

Sono talmente naif da non riuscire ad associare il concetto di genio a persone che non facciano qualcosa di buono per gli altri. Anche involontariamente, anche soltanto per caso. Magari scoprendo una muffa dove nessuno aveva guardato mai.

Ma dovevo riconoscerlo, dai, “alla fine è un genio. Tutto cambia, cadono i governi, si accendono e si spengono le inchieste, e lui sempre là sta. È un genio, dai!.”

Nell’antica grecia a proposito del genio non il verbo essere si usava, ma l’avere. “Quello ha il genio”, si diceva, e si intendeva con questa differenza che il genio fosse una specie di benedizione, una mano degli dei che ti si poggiava su una spalla e stava con te, per un po’, fin che ti ritenesse meritevole, acuendo i sensi e l’intelletto, facendoti vedere muffe là dove nessuno avrebbe guardato mai, perché scoprissi, appunto, cose che a tutti gli uomini avrebbero portato giovamento, in salute, in progresso, in bellezza.

Uscii da quella cena con il cazzo girato, lo devo dire. Sopratutto per la questione del freddo. Una cazzo di maglina, una felpa infeltrita potevano darmela, no? Credo molto in questi principi di base: se qualcuno ha fame dagli da mangiare. Se ha freddo dagli da vestire. Se ha fame e freddo, vabbè, è facile.

Misi il giornale sotto la giacchetta Sisley di carta da zucchero. Il motorino mi riportò sulla tangenziale. Vidi i bellissimi palazzi romani, con le loro luci, il loro caos armonico mi lasciò per la centesima volta a bocca aperta. Ingoiai mille moscerini.

Era una sera di cinque anni fa. Allora la crisi economica era negata. Quel genio di Silvio era riuscito a fregare tutti (che genio!) e ripeteva che i ristoranti erano pieni. PIAZZA ITALIA florida, il parcheggio completo.

Lavoravano imprese di mobili e serramenti. Aprivano le loro saracinesche al mattino. Tutto andava bene. Non c’era da preoccuparsi di niente.

Hanno scelto Jack Nicholson. Povero Bombolo.

Gipi Pacinotti

Disegnatore e regista, collabora con la Repubblica e Internazionale. Con il suo graphic novel Appunti per una storia di guerra ha vinto il premio Goscinny al festival del fumetto di Angoulême. Il suo primo film si chiama L'Ultimo terrestre.