Come ci può cambiare la App Immuni

Tutto quello che la tecnologia rende possibile, prima o poi succederà. Da tempo è ormai possibile che le popolazioni siano sottoposte a un controllo minuzioso e totale. La raccolta dei dati a fini commerciali è la spina dorsale degli sviluppi tecnologici dell’ultimo decennio. Lo fanno le aziende private dei social e dei motori di ricerca, lo fa la televisione smart, lo fanno molti altri, quasi tutti. Lo sappiamo, paghiamo un servizio, che ci risulta ormai essenziale, con la cessione di informazioni su di noi.

Inoltre cediamo di fatto i nostri dati, e soprattutto lo stoccaggio dei nostri dati, ad aziende di paesi stranieri, sui quali non abbiamo nessun controllo.

Già ora, chi controlla i “grandi dati” e li sa leggere ha un enorme potere di previsione, ma anche una capacità potenziale di indirizzare le società umane in un senso o in un altro.

L’emergenza del Covid19 sta ponendo però un altro problema, che per l’Italia e i paesi europei è inedito. Per la prima volta in uno stato democratico – di quel tipo di democrazia liberale, cioè incentrata sulle libertà non delle classi, non dei ceti, non delle patrie, ma dei singoli individui – si concede al governo un controllo totale sugli spostamenti di ogni cittadino.

Il singolo cittadino non è individuato, ma questo per un atto grazioso, per una concessione dell’app, per un inchino del governo, non perché non sia possibile tecnicamente.

Si dice inoltre che chi non scarica l’app, lo strumento del controllo, non incappa in nessuno svantaggio, che non gli sarà impedito di fare alcunché. Ed è una precisazione inquietante, perché vuol dire che qualcuno aveva pensato il contrario, cioè di rendere la app obbligatoria o svantaggioso, penalizzante, il suo non uso.

Intendiamoci bene: non dico che tutto questo non serva a tenere sotto controllo il contagio. Non dico neppure che questo sistema non salverà delle vite. Non dico che non contribuirà alla ripresa delle attività economica. Non dico neppure che non sia un sistema intelligente. (Non dico neppure che non scaricherò l’app, perché ancora non l’ho deciso. E prego astenersi commentatori con l’accetta e maldestri colpevolizzatori).

Mi chiedo però che cosa significhi sdoganare un controllo del governo (non degli attori economici, diversi per natura), e un controllo di passo per passo, di stretta di mano per stretta di mano. Certo, ora c’è una crisi. Ma non è la prima e non sarà l’ultima.

Qualcuno proporrà di tornare al controllo totale per esempio in caso di disordini sociali, che con il PIL a -15% potranno esserci?

Qualcuno la chiederà durante le crisi – che come sappiamo durano anni – legate al terrorismo di qualsiasi colore? Durante i mesi degli attentati?

E se qualcuno la chiedesse addirittura prima degli attentati? Per prevenirli?

Si potrebbe chiederla per esempio anche durante una expo, per motivi di ordine pubblico. Durante le Olimpiadi, o i Mondiali.

E se qualcuno pensasse a un certo punto che debba essere obbligatoria per tutti, perché altrimenti non funziona?

Qualcuno la potrebbe chiedere a un ipotetico nuovo G7 di Genova per rintracciare quelli che dormono in una certa scuola? Perché certo la app è anonima, ma non tecnicamente, e per l’efficacia dell’ordine pubblico qualcuno potrebbe pensare – con l’applauso dell’opinione pubblica – che l’anonimato sia un’inutile finzione.

Mi permetto di chiedere che il governo sia il più chiaro e il più esplicito possibile sul funzionamento di questa app e valuti con serietà, in modo pubblico, se il rapporto tra benefici e rischi sia davvero favorevole, perché i dispositivi tecnologici e i cambiamenti che essi tacitamente impongono sono più forti dei governi. E mi chiedo se non stiamo per entrare in una nuova antropologia della libertà, che ai fondatori delle libertà europee risulterebbe difficilmente comprensibile.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.