Post Europa

Spesso quando si parla di uscita dall’euro o di disgregazione dell’Unione Europea, di sovranismi vari o anche di concrete difficoltà, si ha l’impressione che chi parla pensi che un futuro libero dai vincoli attuali sia il ritorno di un’Italia, o di un’Europa, degli anni ’60. Cioè: mi pare che pensiamo al futuro come la riproposizione di un certo tempo passato (che peraltro una gran parte di noi non ha neanche vissuto e non è probabilmente neppure esistito).

Il futuro non lo conosce nessuno, ma possiamo tentare di immaginarlo, a partire dalle tendenze attuali che per noi sono significative.

Non si può escludere – mi dico se osservo il presente e gli ultimi anni – che sul medio-lungo periodo finirà così: due grandi paesi come la Germania e la Francia stringeranno i rapporti per una vera unione, con altri quattro-cinque paesi dell’area Nord (del resto Francia e Germania hanno appena firmato degli intenti comuni bilaterali in materia di convergenza fiscale per le imprese). La frontiera del Reno, per secoli una barriera, è oggi una cerniera di comunicazione con investimenti forti da parte dei due paesi per un’integrazione strategica che nessun fallimento italiano o europeo potrà fermare.

Un’unione a velocità sostenuta tra i due paesi, con un legame stretto tra l’elemento latino e quello germanico (voglio esprimermi così) costituirà, pur in assenza di altri paesi, un centro pienamente legittimo di influenza economica, culturale e politica continentale con proiezioni extracontinentali. Quell’Europa andrà avanti.

La Gran Bretagna, se pur manterrà l’integrità politica, non potrà fare altro che riconsegnarsi a un liberismo alla Dickens nel tentativo di mantenersi hub globale di qualcosa di più ampio di una “piccola isoletta”, come l’aveva chiamata Putin in tempi non sospetti (e quanto i tempi attuali stanno favorendo proprio Putin nel suo disegno di sgretolamento dell’unica forza politica che può fermarne certe ambizioni).

E l’Est europeo – qualcuno ne dubita? – fuori dall’ombrello dell’Unione Europea tornerà di riffa o di raffa sotto l’influenza russa.

Il Mediterraneo, Italia compresa, sarà lo spazio di tante piccole e grandi Turchie, con livelli di libertà percepita diversi, con economie tra l’asfittico e il discreto, a seconda dei momenti e dopo l’eventuale choc di uscita dalla moneta unica, con una diminuzione di servizi ai cittadini e forse di passi indietro su alcuni diritti. Corsi e ricorsi? Possiamo arrangiarci a vivere in un’area di questo tipo? Lo vedremo, nel caso.

Non è solo questione di governi – intendiamoci – è anche questione di popoli e pulsioni sotterranee che periodicamente si manifestano. Di certo il ritorno al passato tale e quale non è possibile (e quale passato poi?), ma il futuro realistico che più somiglia al passato, e che in fondo sarebbe coerente con una certa storia europea in declino dell’ultimo secolo, mi pare questo.

Si tratterebbe insomma di vivere in una post-Europa che ha fallito il suo progetto di integrazione (progetto anch’esso del tutto coerente con la storia europea e, anzi, contributo a un miglioramente del mondo), una post-Europa che si gerarchizza secondo linee geopolitiche che riaffiorano e che esistono e che si arrende nel lasciare mano libera ad altre forze globali.

Tutto questo mi pare possibile, a meno che non si faccia uno sforzo per un futuro davvero nuovo, di superamento delle difficoltà attuali nella direzione di un rilancio che, diciamocelo chiaro, è tutto da inventare e richiede una dose di coraggio addirittura epocale, un coraggio da europei (perché gran parte della storia europea è una storia di coraggio nel cambiamento).

Abbiamo le risorse culturali, intellettuali, morali, d’immaginazione, per pensare e produrre questo sforzo? Forse sì, o forse no. Non c’è momento più politico di questo, più collettivo, più libero per discutere tutte le opzioni.

Ed è scandaloso e inaccettabile che nessuna delle forze politiche che ci dovrebbero guidare abbia mostrato la capacità di proporre un orizzonte chiaro. Alla vigilia di elezioni europee cruciali, le forze che governano l’Italia assumono decisioni le cui conseguenze non sanno spiegare, o fingono che esse non abbiano un impatto che investe la democrazia stessa e il destino del paese per i prossimi 30 anni.

Le forze di opposizione, di centro-destra o di sinistra che siano, non emettono una sillaba sull’Europa, a parte le frasi fatte, e non ci fanno capire (perché non lo sanno?) come riformerebbero l’Unione Europea. E l’unica pista possibile per la prosperità dei popoli europei è una riforma dell’unione, un’accelerazione dello stare insieme.

È desolante osservare che la politica italiana, di qualsiasi orientamento, non voglia e probabilmente non sappia produrre un pensiero sull’Europa (che può anche voler dire contro l’Europa), un contesto cognitivo, uno straccio di scenario che invece di farci affondare in azioni momentanee e senza costrutto ci aiuti a capire che fine stiamo facendo. Dobbiamo rassegnarci? Siamo già nella post-Europa?

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.