Salvini a Rosarno

La cittadina di Rosarno – non proprio urbanisticamente ridente, ma con almeno una bellissima Madonna nera, guarda il caso, venerata da secoli nella sua chiesa parrocchiale – è il luogo di rivelazione del dispositivo perfetto. Salvini, che ha preso lì il 13% dei voti, non molto di più della media dei paesi vicini della piana di Gioia Tauro, viene accolto con entusiasmo da una folla di suoi elettori rosarnesi — le stesse persone che solo poco tempo fa avrebbe qualificato con i peggiori epiteti razzisti –, li ringrazia dei tanti voti ricevuti (del resto è il loro senatore) e li assicura che il problema degli extracomunitari che vengono a lavorare per due euro sarà risolto, perché lavorare per due euro è schiavitù. Il che è vero. E com’è giusto li aiuteremo a casa loro. Solo che loro, i leghisti terroni, dovrebbero sapere che se i neri lavorano a due euro, qualcuno lì tra di loro (forse anche loro?) a poche centinaia di metri da dove parla Salvini, in campagna, li paga due euro. Gli sfruttatori di schiavi sono lì; e si fanno aiutare a casa propria. Intendiamoci, Rosarno è una terra di martiri (la piazza principale è dedicata a uno di loro) e di gente che lavora, di persone che hanno pensato che gli africani potessero salvare Rosarno, ma è anche una terra di caporali, di sfruttamento e di altro.

E dunque che senso ha parlare di schiavi a Rosarno, gettando tutto il peso sugli schiavi, che non sono lì a caso, e non mostrando una sola soluzione praticabile, di fatto garantendo che non ce ne saranno? Che cosa si capisce di tutto il discorso, e lo si capisce in modo perfetto proprio davanti alla platea rosarnese delle grandi occasioni? I leghisti terroni capiscono, e noi con loro, la stessa cosa che capiscono i leghisti del profondo Nord su tante cose: continuiamo a sfruttare indisturbati i nostri schiavi, siano essi terroni o neri, continuiamo a tenerli lì dove sono, che qualcuno continui a raccogliere le arance a due euro e che non chieda di più, com’è sempre stato; non muoviamoci, stiamo fermi, ai nostri figli pensiamo noi, i nostri figli li sistemiamo noi. Eccolo lì l’eterno dispositivo, il blocco sociale. Viva l’Italia, viva Salvini, che Salvini salvi la Calabria.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.