Perché Italia e Francia sono più vicine

Hollande ha nominato primo ministro l’unico personaggio del suo partito che può dare una spinta nuova al governo, ma che può anche fare ombra al presidente. Non sarebbe la prima volta, nel complesso ma chiaro sistema francese, che un presidente è costretto a scegliere qualcuno che poi cercherà di fargli le scarpe. Non è detto che vada così, ma da qui al 2017 ne vedremo delle belle.

Il punto però è un altro; e va colto. Per la prima volta dopo moltissimo tempo, la Francia e i francesi hanno coscienza di vivere una crisi profonda. La Francia fatica a mantenere gli impegni europei, vive una certa deindustrializzazione, perde primati, la sua ideologia repubblicana pare a volte scricchiolare sinistramente, il suo ruolo in politica estera arretra, la funzione presidenziale non viene totalmente riempita dalle effettive possibilità dei presidenti che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. La Francia appare ai francesi sempre meno “speciale”, sempre più un paese come gli altri. Anche i francesi hanno cominciato a parlare di declino, con un dibattito pubblico sempre più martellante, con dei tratti a volte molto originali, e mai rassegnato. La Francia ha bisogno di una rivoluzione? C’è chi lo sostiene, autorevolissimamente, perché la Francia ragiona così.

La presidenza Hollande e il governo Valls si troveranno dunque a tentare un raddrizzamento del paese proprio nella fase acuta di percezione della crisi. La batosta elettorale delle amministrative è stata un vero e proprio grido d’allarme dei francesi, che va molto al di là degli schieramenti politici e ha poco a che fare con le elezioni municipali in sé (in Francia da sempre vissute come segnali al presidente). Da qui al 2017 la Francia si deve muovere decisamente, sul piano interno e su quello europeo e internazionale e ha bisogno di alleati, di amici, di partner, di interessi che convergano con i suoi. Non sono solo Hollande e il suo governo che si giocano tutto, ma le reali possibilità della Francia di non perdere il suo rango.

È l’Italia, a mio avviso, il paese europeo che più di altri può essere interessato a lavorare strategicamente da subito con la Francia. Le difficoltà francesi sono molto simili alle nostre (le loro rimangono meno intense, ma la loro narrazione molto più forte): dopo gli anni di Sarkozy, che una funzione importante l’hanno avuta, interessato a condividere con la Germania il ruolo di guardiano dei conti altrui, con l’avvento dei socialisti (e l’uscita dell’Italia dall’emergenza degli spread e dei berlusconismi), le visioni delle debolezze dell’UE dei due paesi possono davvero avvicinarsi. Non ci sarà rivoluzione francese senza riforma europea. Ma non ci sarà neppure riforma europea se un blocco di paesi non sarà capace di pensarla e renderla possibile. E noi dovremmo esserne interessati fortemente. Francia e Italia (e governo Hollande-Valls con governo Renzi) insieme oggi possono fare molto.

La svolta dell’industria ecologica, tentata da Sarkozy, promessa da Hollande e rilanciata nel discorso presidenziale post-sconfitta di qualche giorno fa, legata a doppio filo al tema dell’energia (quella nucleare sembra essere per il futuro, tra mille ambiguità, sempre meno strategica per la Francia) è un tema nel quale l’Italia si può inserire con forza e che necessita di un quadro europeo complesso.

Il rilancio degli investimenti interni e all’estero nel futuro (e nel presente) dovrà necessariamente essere selettivo, cioè con una visione forte e strategica del paese e delle sue possibilità. Hollande ha mostrato di aver concettualmente chiaro questo principio (anche se non l’ha ancora chiaramente applicato) ed è lecito aspettarsi qualcosa in questa direzione. L’Italia può avere interesse a creare un’integrazione in questo senso con la Francia, soprattutto sul piano internazionale.

Insomma i temi di convergenza sono molti, ma è in particolare il momento culturale che entrambi i paesi stanno vivendo – la consapevolezza che è necessario cambiare, farlo in fretta e creativamente – che rende Italia e Francia così potenzialmente vicine.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.