Il Salò del Libro

I fascisti proliferano nelle curve degli stadi, fanno politica indisturbati, ogni anno commemorano i loro morti e anniversari, dal 2003 occupano una palazzina a Roma: perché al Salone del libro di Torino non ci dovrebbero andare? Perché il Salone è un’istituzione culturale, una delle più importanti del nostro Paese. Vero, però i fascisti da anni sono anche nelle istituzioni, compreso il Salone del libro dove qualche anno fa si aggirava Franco Freda in persona: Forza Nuova si presenta alle elezioni, Fratelli d’Italia candida il pronipote di Benito Mussolini, che il Ministro dell’Interno cita ogni giorno. Sì, ma questa volta è diverso. Questa volta il Ministro dell’Interno ha deciso di pubblicare un libro con una casa editrice fascista che al Salone ha uno stand. È una scelta inaudita e direi eversiva, ma ha più a che fare con il Ministro dell’Interno, quindi con l’Italia, che con il Salone.

Quindi? È giusto andarsene? Il Salone del libro di Torino ospita centinaia di eventi, ma da giorni se ne parla soltanto per un non-evento. L’editore fascista ne sarà felicissimo e il libro venderà a palate. Il fatto più grave, però, per me, è che il libro di un editore fascista sia al centro del dibattito culturale italiano. Accade per molte ragioni: la prima è che per la prima volta il fascismo ha una sponda istituzionale dichiarata nel potere politico. La seconda è un riflesso condizionato, di cui siamo vittime – e colpevoli – da almeno trent’anni: concentrarsi sulle idee da combattere invece che su quelle da promuovere, inventarsi, farsi venire. L’energia destinata alle prime è, fatalmente, tolta alle seconde.

Capisco la scelta di chi al Salone ha deciso di non andare – ci ho pensato anche io, ovviamente, è stato il mio primo istinto – ma credo che abbandonare il campo a chi nella sua storia, almeno in Italia, non ha mai scritto niente di intelligente e bello sia fargli un regalo. Avere paura dei libri e delle parole dei fascisti è un segno di debolezza. Il fascismo in Italia non ha prodotto un solo romanzo, una sola poesia di valore, nonostante nel Ventennio alla corte di Mussolini si siano accomodati anche molti grandi scrittori.

Credo che lo scandalo abbia una terza ragione: la presenza dei fascisti a Torino è vissuta come la profanazione di un territorio sacro che, fino a oggi, abbiamo considerato nostro. Asserragliarsi nel fortino per difenderlo è il terzo errore. È molto più grave che ai fascisti sia stato permesso di monopolizzare le curve degli stadi e le periferie perché è lì che possono vincere e fare proseliti. I fascisti sono forti dove le parole e i pensieri non sono importanti, ma quando parlano o scrivono perdono. È bastato che un ragazzino di Torre Maura dicesse «Non me sta bene che no» per mostrare l’evanescente idiozia e la miseria intellettuale della loro azione politica. Quando dallo slogan si passa al discorso, il fascismo si sgonfia, diventa niente.

Da decenni, periodicamente, la destra tenta di attribuire la propria irrilevanza culturale all’egemonia culturale della sinistra. Lo hanno fatto Lando Buzzanca e Pupo, per esempio. E giustamente se ne rideva. Se oggi un editore fascista è al centro del dibattito, per la prima volta dal 25 aprile 1945, è perché glielo consentono la maggioranza politica e la minoranza intellettuale, che ne alimenta la visibilità invece che concentrarsi sulle idee, invece di ridere e spernacchiarli. Sarebbe bellissimo se al Salone arrivasse Corrado Guzzanti insieme ai fascisti su Marte. Ma anche senza risate, le parole, per ora, bastano a batterli. Per venticinque anni la sinistra si è fatta ipnotizzare da Berlusconi, perché era più facile ricostruire la propria identità per questa via che provare a ripensare da capo un mondo cambiato. Per i prossimi dieci temo che ripeteremo lo stesso errore con Salvini. L’egemonia politica e culturale si perde – si è persa – anche così.

(Una precedente versione di questo post indicava erroneamente che la distribuzione dei libri dell’editore Altaforte fosse affidata a Mondadori: in realtà è di CDA. Ci scusiamo dell’errore)

Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.