Siamo tutti Yrigoyen

Non so se questa storia sia vera, anzi probabilmente è falsa, ma è una di quelle cose argentine piene di specchi in cui la verità si riflette nella bugia, il plausibile nell’esagerato, il possibile nell’impensabile, finché non sai più dove ti trovi, ti sembra di essere precipitato in un racconto di Borges o Cortázar e hai bisogno di una scala 1:1 del mondo con una freccia che indichi: «Voi siete qui». Poi ti accorgi che qui ci siamo arrivati davvero.

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Hipólito Yrigoyen parte in treno per Santa Fe durante la campagna elettorale del 1926

A me l’hanno raccontata così: c’era una volta un presidente argentino che si chiamava Hipólito Yrigoyen e fu eletto due volte – e ho controllato, esiste davvero un presidente argentino che si chiamava Juan Hipólito del Sagrado Corazón de Jesús Yrigoyen e che fu eletto due volte. Era uno importante, il fondatore del Partito radicale: la prima volta diventò presidente nel 1916, la seconda nel 1928, quando aveva 76 anni ed era così vecchio e malandato che non ci stava più tanto con la testa o forse ci stava perfettamente, non so, fatto sta che si mise nella testa di fare delle riforme inaudite: una mattina si alzava e ordinava di confiscare i latifondi e restituire le terre ai contadini, un’altra decideva sciogliere le forze armate, un giorno diceva che i finanziamenti alla chiesa dovevano essere sospesi, quello dopo che la proprietà privata andava abolita. I suoi ministri, generali e consiglieri non sapevano più che cosa fare, non potevano certo eseguire i suoi propositi folli, ma neppure disubbidire ai suoi ordini. Era una situazione senza uscita finché a uno di loro non venne l’idea.

– Il vecchio ormai non esce quasi più dalla Casa Rosada, disse.
– E allora?, chiesero gli altri.
– E allora non può sapere se eseguiamo davvero quello che dice.
– Va be’, ma prima o poi se ne accorge, replicarono gli altri.
Quello che aveva avuto l’idea tacque, piazzando una pausa sapiente. Poi passò in rassegna le facce degli altri, fissandoli uno a uno negli occhi, e alla fine parlò:
– No, non se ne accorgerà mai, se ogni giorno scriviamo e stampiamo per lui dei giornali falsi, identici ai quotidiani veri, però con lunghi articoli sugli effetti delle riforme nel Paese.

L’anziano presidente Yrigoyen visse felice i suoi ultimi anni rinchiuso nel palazzo presidenziale, leggendo ogni mattina sui giornali le cronache di un’Argentina inventata e migliore – e ho controllato: davvero gli nascondevano le notizie, ma alla vigilia di Natale del 1929 sfuggì a un attentato e il 6 settempre 1930 fu deposto da un golpe del generale José Félix Uriburu (altro nome bellissimo) perché la realtà dà, comunque, più garanzie dell’immaginazione.

E questa è la storia. Sembra lontana.

Molta informazione – in tv, su siti, giornali e social network – svolge la stessa funzione dei quotidiani falsi di Yrigoyen: offre a ognuno la realtà che vuole vedere e ognuno ci trova il racconto del mondo che vuole sentire. In questo modo l’informazione rinuncia a formare l’opinione pubblica, si limita a cementare le opinioni che trova. I media di massa si trasformano, così, in media di nicchia. La verità si moltiplica e sfarina, e la democrazia – che funziona solo se tutti concordano almeno sul fatto di condividere la stessa realtà – retrocede a uno stadio più primitivo, quasi tribale.

È un processo in corso da sempre. La disponibilità a credere quello in cui già si crede è assoluta: nel libro Le origini culturali del Terzo Reich. lo storico George L. Mosse cita la didascalia di un giornale nazista degli anni Venti – Ostara, Briefbücherei der Blonden und Mannesrechtler (Ostara, giornale per biondi e maschilisti) – che magnificava i capelli biondi del Führer nonostante la foto rendesse evidente il contrario. Ma i social network e la ricerca di un target preciso da parte dell’informazione hanno moltiplicato a dismisura questa tendenza, rendendo sempre meno obbligatoria, per chi informa, la ricerca dell’obbiettività. Le famigerate bolle informative in cui tutti viviamo – la Bolla Rosada – proteggono e scaldano, ma accecano anche, perché irrigidiscono le identità, invece di metterle alla prova nel mondo.

Accade così che persone che nella vita normale sembrerebbero equilibrate aderiscano senza distacco alle esagerazioni e semplificazioni del governo oppure credano senza problemi al complotto dei frigoriferi e dei terremoti truccati. È un meccanismo che rende il paesaggio ancora più osceno di quanto non sia, perché il modo più semplice di rinchiudersi nella propria realtà e di difenderla è squalificare i racconti contrari accusandoli di essere corrotti alla fonte.

Invece per il presidente Yrigoyen la felicità era importante: «La democracia no consiste sólo en la garantía de la libertad política: entraña a la vez la posibilidad para todos de poder alcanzar un mínimum de felicidad siquiera». Mi sembra sia questa la differenza più grande. La fantasia serviva ad abbellire la realtà, mentre oggi, per lo più, viene utilizzata per imbruttirla. Come se non fosse brutta abbastanza.

Giacomo Papi

Giacomo Papi è nato a Milano nel 1968. Il suo ultimo romanzo si intitola Happydemia, quello precedente Il censimento dei radical chic. Qui la lista dei suoi articoli sui libri e sull’editoria.