Rousseau non è un problema

Ci sono cento milioni di motivi per criticare il Movimento 5 Stelle e la sua struttura padronale, oltre che ovviamente le sue idee e il modo in cui le comunica. A meno che non siate iscritti o elettori del Movimento 5 Stelle, però, suggerirei di escludere la cosiddetta “piattaforma Rousseau” da queste critiche. Ogni partito ha il diritto di scegliere il metodo con cui decidere la sua linea politica e prendere decisioni interne, e non è certo inedito che un partito decida di consultare i suoi iscritti, anche in modo vincolante, su questioni delicate: è una fattispecie prevista anche dallo statuto del Partito Democratico – “su qualsiasi tematica relativa alla politica ed all’organizzazione”, articolo 27 – e in generale una pratica piuttosto diffusa all’estero. Naturalmente è una procedura che può non piacervi, ci mancherebbe, ma non ha niente di scandaloso né tantomeno sarebbe uno “sgarbo” al presidente della Repubblica. Non si capisce perché la decisione di tre o trenta persone in una stanza – cioè quello che è successo negli altri partiti – sarebbe corretta e rispettosa della democrazia e del Quirinale, mentre far decidere i propri iscritti non lo sarebbe. Peraltro mi sembra che sia grazie al M5S che oggi possiamo leggere una bozza del programma di questo eventuale futuro governo. Il PD pensava di diffonderla? Quando? Il dettame costituzionale per cui i parlamentari non sono sottoposti a un vincolo di mandato – cioè non sono tenuti ad attenersi alle direttive di partito, ma possono votare secondo coscienza – non viene scalfito dal fatto che un partito possa decidere come crede la sua linea politica, cosa che avviene tutti i giorni in tutti i partiti, che sia con un congresso, con un referendum, con un capo assoluto, con una riunione fra due persone o di un direttivo: in generale, anche coinvolgendo persone che non siedono in Parlamento, come è accaduto per esempio con gli ultimi due segretari del PD. Ogni parlamentare poi è libero di votare come crede, e ogni partito è libero di trattare come vuole i parlamentari che dovessero contraddire la sua linea politica. Ci sono partiti più o meno tolleranti su questo fronte, il Movimento 5 Stelle lo è notoriamente molto poco: ma sono le loro iniziative per l’abolizione del vincolo di mandato la ragione per cui possono essere legittimamente e duramente criticati, non il fatto che decidano di organizzare una consultazione interna e stabilire così la propria linea. Costringere alle dimissioni un parlamentare che non rispetta la linea del partito è incostituzionale, oltre che – secondo me – sbagliato e antidemocratico; espellere dal partito un parlamentare che non rispetta la linea del partito è un atto politico piuttosto comune (anche in partiti che non sono il M5S) e legittimo, per quanto discutibile come ogni atto politico. D’altra parte, detto che ogni parlamentare è libero di votare quello che vuole, chiedetevi chi sono negli altri partiti italiani i soggetti che decidono la linea politica: nella grandissima parte dei casi non otterrete risposte molto più soddisfacenti dal punto di vista della rappresentanza o dei valori democratici. Lo ripeto di nuovo, per evitare obiezioni facili: questo non vuol dire che ciascuno di noi non possa preferire metodi organizzativi e processi decisionali diversi da questo che si è dato il Movimento 5 Stelle. Ci mancherebbe. Personalmente, a me molto la democrazia rappresentativa. Ma il metodo che si è dato il Movimento 5 Stelle non ha niente di anomalo o di eversivo, e nel contesto italiano non è più opaco di quello degli altri partiti. Un’ultima cosa. Sì, Rousseau è un colabrodo, e ci sono valide ragioni per pensare che i voti espressi su Rousseau non restino segreti e siano manipolabili. Credo che questo dovrebbe essere un grosso problema per gli iscritti e gli elettori del Movimento 5 Stelle, che a quel partito affidano l’espressione della propria volontà politica; e credo che questo livello di opacità e sciatteria dica molto di quale sia in generale la credibilità del Movimento 5 Stelle. Insomma, anche io credo che il voto su Rousseau sia una balla. Ma credo anche che ogni partito abbia il diritto di prendere decisioni come vuole – chi decide dentro Forza Italia? e dentro la Lega? chi decideva dentro Scelta Civica? eccetera – e credo che la balla del voto su Rousseau non sia più sgradevole dei partiti che hanno un capo assoluto e indiscutibile, cioè quasi tutti in Italia, o di quelli che si riuniscono per celebrare formalmente votazioni dall’esito scontato perché la vera discussione è avvenuta altrove. Liberi e Uguali, che sosterrà il nuovo governo e da giorni è presentissimo sui titoli dei giornali, era un cartello elettorale che si è sciolto a novembre del 2018. Non esiste più, letteralmente. Inutile chiedere chi abbia preso questa decisione dentro il partito-zombie e rispondendo a chi: hanno deciso loro, per loro. E uno dei pochi partiti italiani che non ha un capo assoluto, il Partito Democratico, è comunque lo stesso che ha giudicato opportuno diffondere questi surreali risultati dopo le sue ultime elezioni primarie – elezioni mai certificate da terzi – dopo anni di voci sulle affluenze gonfiate.
Insomma, in estrema sintesi: non c’è niente di scandaloso nel decidere la linea politica del partito – ancor più su questioni così delicate – coinvolgendo i propri iscritti, ed è una cosa che fanno o prevedono di poter fare molti altri partiti, in Italia e all’estero. Se il metodo con cui vengono coinvolti gli iscritti è opaco e truffaldino, come appare in questo caso, mi sembra che siano i suddetti iscritti gli unici titolati a lamentarsene: non credo che gli iscritti del Partito Democratico giudicherebbero legittimo che Giorgia Meloni o Giovanni Toti gli chiedessero di cambiare le regole dei propri referendum interni. Naturalmente resta che ognuno può giudicare il modo in cui un partito decide di organizzarsi: secondo me gli elettori del Movimento 5 Stelle avrebbero ottime ragioni per essere preoccupati di come il proprio partito decide la sua linea politica. Ma sono in ottima compagnia.
Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).