Il bluff della bomba?

Stamattina, nel giorno del settantesimo compleanno di Vladimir Putin, un robusto e non più giovane tassista milanese canticchiava allegramente il ritornello di una vecchia canzone (1975) di Antonello Venditti: “Bomba o non Bomba noi arriveremo a Roma!”. A quell’epoca i molti, e sanguinosi, attentati dinamitardi influirono certamente sulla politica, ma non uccisero la democrazia. Oggi di una ben altra bomba parlano tutti. Proprio ieri il presidente Biden, in un discorso a un meeting di raccolta fondi per il Partito Democratico, ha ribadito: “Il mondo è vicino alla catastrofe nucleare: si scatenerebbe l’armageddon. Quello di Putin non è un bluff”. 

La possibilità che l’esercito russo cerchi di raddrizzare i catastrofici esiti della campagna d’Ucraina, a sentire le dichiarazioni di molti dirigenti politici occidentali, amplificate dai media, sembra sempre più probabile. Ma si tratta di una, seppur sfibrante, guerra di nervi. Bisogna ricordare che l’Unione sovietica prima, e la Russia di Putin poi, hanno sempre usato questa minaccia per proteggersi dalle possibili reazioni alla loro politica espansionistica. Attenti che noi abbiamo la Bomba e potremmo usarla”, è sempre stato l’arma minacciosa utilizzata dai russi per imporre i loro fatti compiuti. Putin, da mesi, la brandisce con l’unico risultato, per ora, di spaventare una parte delle opinioni pubbliche occidentali, i “pacifisti a senso unico” e anche un incerto Vaticano. 

Il senso della cosiddetta  “deterrenza” è stato per decenni proprio questo. A differenza delle grandi potenze, per alcune nazioni, che si sono dotate negli anni di un armamentario nucleare, la deterrenza è stata una “difesa”. L’Iran e qualsiasi altro paese arabo male intenzionato, ad esempio, sa bene che Israele ha quella Bomba e che la userebbe per difendersi dall’annientamento. Un eventuale missile nucleare russo, e la probabile reazione statunitense, aldilà dell’alto numero di vittime e dell’inquinamento radioattivo, possano spezzare proprio questo “equilibrio”. Da quel momento, rotto il tabù della deterrenza, ogni paese (basti pensare all’incontrollabile Corea del Nord) si sentirebbe autorizzato a usare la sua.

Anche se Putin ribadisce continuamente che la sua minaccia non è un bluff (ed è stato giustamente notato che, se non fai che ripeterlo, dimostri che sai bene che non puoi farlo) è molto improbabile che quel missile tattico-nucleare venga sganciato. Qualcuno nei vertici del potere russo sta sbagliando tutto, ma i russi, e molto dei loro generali (che hanno pagato un altro prezzo in vite durante gli ultimi mesi) non sono pazzi e sanno bene a che cosa andrebbero incontro.

La deterrenza può essere spiegata con l’esempio dei gas asfissianti. Usati copiosamente (il fosgene e l’yprite), e con effetti devastanti, nella Prima guerra mondiale, a partire dal 22 aprile 1915 sul fronte belga, dopo il conflitto vennero messi al bando: prima, nel 1922, la Conferenza di Washington e poi, nel 1925, il Protocollo di Ginevra, proibirono l’uso in guerra di gas asfissianti, tossici e simili, e dei mezzi batteriologici. Ci volle però del tempo prima che i gas venissero effettivamente banditi dalle guerre. Infatti, nel 1920, quando le tribù arabe e curde si rivoltarono contro l’occupazione britannica dell’attuale Iraq (scaturita dal Trattato di Sevres in seguito al collasso dell’Impero ottomano), il segretario delle Colonie Winston Churchill, autorizzò l’utilizzo di armi chimiche sui ribelli locali: “Sono a favore dell’uso di gas velenosi contro tribù non civilizzate”. Qualche anno dopo, tra il 1921 e il 1927, nel Marocco occupato dalla Spagna, le forze franco-spagnole lanciarono bombe all’yprite per soffocare la ribellione guidata dalle tribù berbere. Nel 1921 anche i sovietici utilizzeranno armi chimiche per sedare una rivolta di braccianti a Tambov, nella Russia sud-occidentale. Ma fu l’Italia fascista a rompere più sistematicamente e drammaticamente  il divieto dell’uso di armi chimiche: nel 1928  l’esercito italiano utilizzò gas asfissianti come il fosgene (o cloruro di carbonile) e bombe di yprite per reprimere i ribelli in Libia. L’yprite fu poi usata molte volte contro gli etiopi  nel 1935. 

Ma, nella Seconda guerra mondiale, nessuno usò i gas asfissianti. Tutti se lo aspettavano, tanto che ogni soldato aveva nel suo equipaggiamento la maschera antigas. Neppure i tedeschi li usarono prima della sconfitta. Eppure gli scienziati del Terzo Reich avevano scoperto agenti chimici devastanti come il soman, il tabun e il sarin. Gas inodori e incolori, per cui molto difficili da individuare. Prima dell’attacco definitivo a Berlino, i generali sovietici erano convinti che i tedeschi, in un ultimo disperato tentativo di fermarli, avrebbero usato i gas. Quando, dopo l’armistizio, lo chiesero ai generali tedeschi prigionieri, si sentirono rispondere: “se noi li avessimo usati li avreste usati anche voi contro di noi”.

Per questo è assai improbabile che i russi mettano in atto la minaccia dell’uso di missili nucleari. La guerra di nervi è un correlato, spesso assai efficace, della guerra atomica, altrettanto spaventevole, ma difficilmente trasformabile in una devastazione effettiva.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).