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  • Mercoledì 29 gennaio 2020

Il discorso di Filippo Sensi alla Camera sull’obesità e il fatshaming

Filippo Sensi ANSA / ETTORE FERRARI
Filippo Sensi ANSA / ETTORE FERRARI

Il deputato del Partito Democratico Filippo Sensi è intervenuto oggi alla Camera con un discorso sull’obesità e il fatshaming – il bullismo verso le persone obese – presentando un ordine del giorno durante la discussione su una nuova legge contro il bullismo. Sensi – che era obeso e in passato aveva parlato spesso del suo impegno per perdere peso – ha citato il lavoro della scrittrice Costanza Rizzacasa D’Orsogna sull’obesità e ha fatto riferimento alla sua esperienza, ricevendo poi molti applausi e complimenti per il discorso.

Il testo dell’intervento di Sensi

Grazie, Presidente. Con questo ordine del giorno, che desidero illustrare, abusando della pazienza di quest’Aula, che spero mi perdonerà, abbiamo provato a concentrarci su un fenomeno odioso, quello del body shaming, in particolare del fat shaming, dello stigma riservato all’obesità come diversità intollerabile, ridicola, degna soltanto di disprezzo e derisione. Siamo soliti ricondurre questa fattispecie di cui molto si parla, e vorrei ringraziare Costanza Rizzacasa d’Orsogna per il lavoro pionieristico che svolge e il suo impegno contro il fat shaming, in relazione all’ambiente relazionale, chiedo scusa per il bisticcio, dei social network, nell’ambito del bullismo, del fenomeno, cioè sul quale siamo chiamati in quest’Aula a normare.

Vi chiedo colleghi, e lo dico da persona obesa, di considerare con attenzione queste specificità, poiché riguardano la questione del corpo, delle sue forme, della rappresentazione e della identità che il corpo, alla lettera, definisce. Sono stato per tutta la vita e sono – cito – un ciccia bomba cannoniere, un panzone, un trippone, una palla di lardo, qualcuno mi chiamava “manzo”, mio padre ci sformava. Un ragazzino una volta mi gridò: “Sensi, mi fai senso”, lo ricordo come fosse adesso. Chiunque mi conosca, Presidente, e mi scuso per il fatto personale, sa che sul mio peso scherzo, lo esorcizzo, ci sorrido, ma mi ci misuro ogni giorno, non come un’ossessione, ma come la mia dimensione, il mio spazio e sento questo sguardo che pesa, che mi pesa, già, mi pesa. Non tutti però ce la fanno, non tutti ci riescono e facciamo finta che sia un passo avanti scherzarci su, ma quando sei ragazzo o, magari, quando sei ragazza, è più difficile, lasciatevelo dire, è maledettamente più difficile. Non tutti ci scherzano, no, ci si chiude in casa, magari, si finisce in cucina a rubare cibo, si seppellisce la derisione, come? Mangiando, di più, ancora e ancora e ancora, il cibo come anestesia, come stordimento, per non sentirli più, per non sentirsi più, perdersi lì dentro perché nessuno ci trovi, tanto nessuno ci cerca, se non con lo sguardo. La vergogna del corpo ha una forza immane, suscita energie oscure che le categorie giuridiche faticano a ricomprendere, a cogliere e a capire, eppure, questi strumenti abbiamo, delicati, che possono fare altrettanto danno, dobbiamo saperlo, ma possono essere utili, dobbiamo entrarci con rispetto e responsabilità, lì dentro, qui dentro. Il body shaming, il fat shaming, queste mortificazioni, e non uso questa parola a caso, hanno conseguenze. Uno studio dell’Università della Florida osserva che chi è vittima di fat shaming è due volte e mezzo più a rischio di ingrassare ulteriormente e notevolmente; conseguenze non solo culturali e sociali, ma che mordono nella carne delle persone, possono scatenare comportamenti autodistruttivi come le abbuffate compulsive, l’anoressia, il suicidio. Il confine tra la vita e la morte è il nostro corpo, nella fragile esistenza delle persone, e quella vergogna indotta, quello specchio deformante può interrompere traumaticamente quel processo di individuazione che siamo, nella nostra fragile esistenza. Come dicevo, siamo chiamati a misurarci con questa ombra, con questo alone, quello della vergogna del corpo che abitiamo e che ci abita. Spesso ce la rimproveriamo in quest’Aula la vergogna, lo faccio spesso anche io, Presidente, e vengo richiamato, ce la scagliamo come una pietra, come un insulto, una destinazione – “vergognati!” -, un destino. Ecco, la vergogna come destino, di questo si occupa questo ordine del giorno, proprio di questo, di fare prevenzione e di aiutare e sostenere chi è vittima di body shaming e fat shaming, di evitare che la vergogna sia un destino ineluttabile, che la vergogna del nostro corpo sia una condanna sancita dalla nostra finitezza, dallo sguardo degli altri che può essere il gesto più violento e aggressivo di cui siamo capaci. È un modo certo manchevole di sollevare un’attenzione e di chiedere il rispetto e l’amore che ognuno di noi, con il suo corpo, merita