Poi dice i contributi per l’editoria

Tra le mie vecchie carte craxiane – pubblicate in parte del Natale 2009 su Libero, e mai sul web: insomma, sostanzialmente inedite – spuntò anche una lunghissima relazione sulla gestione dell’Avanti! da parte di Roberto Villetti (poi divenuto parlamentare dello SDI sino alla scorsa legislatura) il quale diresse il quotidiano socialista dal 1989 al 1992. Non è dato verificare l’esattezza di tutto quanto contenuto, ma è estremamente verosimile – lo dico da ex dell’Avanti! – e comunque resta il fatto che Bettino Craxi nell’autunno 1992 accettò molto volentieri le dimissioni di Villetti su richiesta pressante della redazione: e se credette al rapporto che state per leggere, non è difficile immaginare perché. Il contenuto, infatti, va oltre ogni immaginazione. Difendere la Prima Repubblica, peraltro senza averla vissuta, è per me quasi un riflesso: ma ci sono cose che sono veramente indifendibili.

Leggere la sottostante relazione mi fa male ancor oggi: perché il tutto accadeva mentre ero squattrinato e volevo semplicemente fare – continuare a fare – il giornalista. Ero in questa situazione: mi ero sposato a 23 anni, e dopo aver collaborato con l’Unità e con Repubblica, una volta finito il militare, ero rimasto disoccupato. L’unico contatto che riuscii a procurarmi fu appunto con la redazione milanese dell’Avanti!, dove per un paio d’anni avrei lavorato da abusivo.

Per pura disgrazia, una delle prime cose che mi diedero da fare fu intervistare Antonio Di Pietro con la testuale premessa che era «amico nostro». Era il dicembre 1991 e poi ci fu Mani pulite: e io seguii quella. L’Avanti! era ritenuto il giornale dei ladri, avevano mandato avanti me anche perché secondo il mio caporedattore ero un cosiddetto «cane sciolto»: ma un cronista dell’Avanti!, al tempo, aveva poche alternative tra l’essere considerato un cane sciolto o l’essere considerato un cane.

Mi ricordo quando entrai nella sala stampa del palazzo di giustizia e tutti uscirono, come capitò anche a un cronista del Secolo d’Italia. Ricordo quando davanti a una clinica privata, dove un famoso finanziere era agli arresti ospedalieri, il gruppetto dei cronisti cambiava marciapiede a seconda della mia posizione. Quando anche a me capitò di pubblicare dei verbali d’interrogatorio, che guastarono i piani di chi scriveva in pool, un collega mi disse a brutto muso che secondo lui i miei verbali erano falsi.

Un altro cronista mise in relazione la fuga notturna di un dirigente socialista con una mia possibile spiata. Lo scrisse pure. In tutto questo la situazione si era fatta ancora più complicata perché la sede romana dell’Avanti! vedeva nella redazione milanese un avamposto craxiano – ciò che era – e man mano che decresceva il potere di Craxi cresceva anche il tentativo di isolarci e di toglierci peso.

Io formalmente, poi, neppure esistevo: non avrei potuto neanche stare in redazione; il direttore di allora, Roberto Villetti, ogni tanto telefonava da Roma per sincerarsi che io fossi rimasto a casa o scrivessi comunque da fuori, quando invece in redazione praticamente ci dormivo. A un certo punto, in un periodo in cui peraltro non arrivava più una lira perché le tangenti erano finite – questo l’avrei appreso poi – Villetti prese a togliermi anche la firma dagli articoli: ma neanche sempre, a giorni alterni, quando capitava.

Pensai di aggirare l’ostacolo ricorrendo alla doppia firma col mio caporedattore milanese, Stefano Carluccio, un amico, ma a un certo punto il direttore risolse togliendo solo la mia firma e lasciando solo quella di Carluccio a margine di articoli che però avevo scritto io. Nell’insieme, lavoravo da abusivo per il giornale dei ladri, disprezzato dai colleghi e da chiunque in quel periodo sapesse dove scrivevo, completamente gratis, senza in teoria poter entrare in redazione e sotto i miei articoli c’era la firma di un altro: però c’era la salute. Avessi letto la seguente relazione sull’Avanti!, forse, avrei perduto anche quella.

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«In soli tre anni», si legge, «la perdita di gestione balza da 7 miliardi e 800 milioni nell’89 a 19 miliardi e 800 milioni nel ’92. L’indebitamento, per il raddoppio dei costi di fornitori e banche, supera i 40 miliardi. Il capitale crolla da 950 milioni a meno 3 miliardi e 800 milioni… la sede del giornale è stata ristrutturata senza motivo da cima a fondo con una spesa di tre miliardi: pavimenti e parquet, arredo rinnovato da architetti con scrivanie da cinque milioni l’una, bagni rifatti due volte nel giro di un mese comprese le piastrellature. Per il direttore un nuovo ufficio staccato dalla redazione, bagno personale con doccia e telefono e una cucina con dispensa sempre rifornita e utilizzata anche dagli amministratori: spesa per approvvigionamento, quattro milioni al mese.

Il borderò per i collaboratori ha sfondato il tetto di un miliardo e mezzo. Tra le firme eccellenti, quella dell’attuale segretario del Psi, Ottaviano Del Turco, con un compenso di 400.000 lire per ogni corsivo di trenta righe (lo stipendio mensile di un operaio era di circa un milione di lire, ndr). E ancora: Gerosa (300.000 lire), Talamona, 500.000), Baget Bozzo (500.000), Larizza (400.000), Francesco Forte (400.000), Bonito Oliva (500.000)… A ogni collaboratore, inoltre, Villetti disponeva di fornire un fax personale e l’Avanti! si fa carico delle spese telefoniche anche per l’estero…

Decine di carte di credito sono state distribuite in redazione per eventuali trasferte da inviato, ma ogni redattore è sempre rimasto in possesso della carta di credito – anziché riconsegnarla in segreteria mentre era in sede – e alla fine del 1992, secondo la relazione dell’amministratore ai soci, i rimborsi spesa hanno raggiunto la cifra di duecento milioni in 12 mesi. .. Villetti non dimenticava, per Natale, di regalare a ogni dipendente, giornalista e poligrafico, tre bottiglie di Veuve Cliquot… Nel solo 1992 la spesa per l’acquisto di metà dei giornali utilizzati (l’altra metà è costituita da copie in cambio, quindi gratuite) è stata di 205 milioni pari a circa venti testate per ogni giornalista.

Per tutto il periodo della guerra del Golfo, Villetti ha preteso la ribattuta dopo la chiusura per non perdere nemmeno un missile. E nella consueta attesa serale del bombardamento, venti persone con gli occhi puntati sulla Cnn hanno quotidianamente cenato nella sala riunioni appositamente imbandita dal ristorante «Arancio d’oro» con tovaglie bianche, stoviglie, antipasti, dessert, scelta tra vini bianchi e rossi. Abitudine, quella della cena per le ribattute, frequantatissima anche in tempo di pace…
Nel 1991 Villetti decide di cambiare la veste grafica del giornale realizzata quattro anni prima da Ruffolo… Il progetto viene pagato sessanta milioni… La vicenda dell’introduzione del nuovo sistema editoriale in sostituzione della vecchia fotocomposizione lascia dietro sè il sapore del dolo. Quando entra in funzione il nuovo sistema, la smobilitazione della tipografia è ancora da avviare.

Risultato: doppi costi per almeno un anno. E un anno dopo una fattura record da parte dello stampatore di oltre sei miliardi per il solo 1992… I preventivi di marchi prestigiosi come Crossfield e Macintosh sono bocciati anche se, rispettivamente, di un miliardo e duecento milioni e settecento milioni. Viene preferita la Nica, una società allora sull’orlo del fallimento (e fallita quest’anno) il cui presidente è amico dell’amministratore delegato. La Nica non ha mai operato nel campo dell’editoria…

Il suo preventivo è di un miliardo e mezzo, ma dopo soli tre mesi non riesce ad andare avanti con i lavori… Sempre sotto il coordinamento di Villetti, subentrano Apis Niger, Lasermaker, Ntg… Un esercito di tecnici e di consulenti è all’opera in redazione… alcuni di essi sono stati giungere da Nottingham e sono ospitati al Plaza a spese del giornale. Villetti fa comprare tutto quel che esiste sul mercato.

Ogni accessorio è suo. La spesa conclusiva sarà di ben sei miliardi per un sistema che era necessario a quaranta giornalisti e che in nessuna parte del mondo sarebbe costato più di un miliardo e mezzo. Molto materiale, del resto, è anche sparito come tutta una prima serie di personal computer che è stato letteralmente necessario riacquistare da capo… il sistema è stato giudicato sovradimensionato del cento per cento da una società di analisi industriale inviata dall’ex segretario del Psi, Bettino Craxi, per un chek-up del giornale ormai in procinto del collasso… gli stipendi non sono stati pagati per la seconda volta nel mese di ottobre.

In un’infuocata assemblea viene votata la sfiducia a Villetti e si chiede al segretario del Psi, Craxi, di intervenire per rimuoverlo… (a metà novembre 1992, ndr) Craxi rende noto di aver ricevuto una lettera di dimissioni di Villetti che si dissociava da alcune scelte politiche, e di averle accettate. Da allora, comunque, ha continuato a percepire ogni mese lire 12 milioni nette di stipendio».

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera