Chi c’era al dal Verme

Mai visti tanti berlusconiani incazzati, ma incazzati davvero, persino sin troppo genericamente incazzati. Giuliano Ferrara sino a venerdì sera temeva che i millecinquecento posti del Teatro Dal Verme rimanessero sguarniti, poi ecco che il cordone di polizia alle 10 e 30 era già costretto a tener fuori un sacco di gente – incazzata – e persino qualche giornalista ritardatario. Questa volta non era una di quelle festicciuole del Foglio volutamente minoritarie e snob, una di quelle provocazioni di minoranza sedute narcisisticamente dalla parte del torto: Ferrara si è affacciato a un popolo più berlusconiano di lui, più incazzato di lui, qualcosa che dissolveva quell’aura improbabile che spesso circonda le manifestazioni di centrodestra che si vorrebbero «di popolo». Perché quello, piaccia o meno, era un popolo: militante, passionale, «leghista» senza esserlo, con Libero o Il Giornale o Il Foglio sotto il braccio, con appunti, volantini, bandierine – mutande, talora – e ciascuno a inveire a modo suo. Chi si scagliava contro Fini «traditore», chi contro Di Pietro, chi naturalmente contro i giudici, chi a esibire cartelli irriportabili (dove «porco» e «maiale» erano i sostantivi ricorrenti) e a spiegarti che veniva dalla Svizzera o da Gorizia o da Taranto, e a che fare? A ripetere che era incazzato, ma non come al solito, non come altre volte: di più. E non c’era quel compiacimento beota di chi si ritrova affiancato a dei volti televisivi, c’erano persone che sfruttavano un’opportunità per far sapere che c’erano e che erano stufi marci, persino spaventati, a tratti. Non c’era nessuna differenza tra chi il giorno prima aveva manifestato davanti al palazzo di Giustizia e chi invece era lì adesso, non c’era distinguo percepibile – Ferrara se ne è accorto subito – tra una presunta linea ferrariana e una presunta linea di Daniela Santanché, seduta in prima fila e non a caso omaggiata dall’Elefantino. Così come fregava tutto sommato a pochi – nessuno se ne prenda a male – del messaggio più autenticamente raffinato della manifestazione, la provocazione «kantiana» contro il puritanesimo, i mutandari «unfit to lead Italy», la risposta culturale al popolo viola o del Palasharp: c’era semplicemente un sacco di gente disposta a tutto pur di difendere Berlusconi, tenersi Berlusconi, soprattutto non abbandonare Berlusconi quando l’alternativa è quella che è. C’è stato un solo e vero momento di gelo, ieri mattina: è stato quando Piero Ostellino, il corsivista del Corriere, ha detto che in caso di condanna Berlusconi però dovrebbe lasciare.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera