La “mafioneria” no

La differenza tra satira e cronaca giudiziaria costituisce ormai l’ineffabile e ieri, sulla Stampa, ne abbiamo avuto un esempio di vertice. I cronisti Francesco La Licata e Guido Ruotolo hanno pubblicato dei «rapporti inediti» della Direzione investigativa antimafia (Dia) che per cominciare non sono inediti per niente, visto che sono riportati a margine della sentenza per la strage fiorentina di via dei Georgofili.  Ora questi rapporti vengono improvvisamente ascritti al filone stragista e mafioso della «trattativa» (una di quelle che avrebbe favorito la nascita di Forza Italia, in sostanza) e quello che segue è un passaggio testuale – ripetiamo, testuale – riportato dai due cronisti:

«Cosa nostra si è sempre mossa attivando da una parte referenti politico-istituzionali… Altra determinante leva di pressione è stata sicuramente quell’alleanza con una parte della massoneria deviata, incarnata nelle logge occulte, riferibile, tra le altre, alla loggia del Gran Maestro della Serenissima degli Antichi Liberi Accettati Muratori-Obbedienza di Piazza del Gesù – Maestro Sovrano Generale del Rito Filosofico Italiano – Sovrano Onorario del Rito Scozzese Antico e Accettato, di origini palermitane, di stanza a Torino, il noto prof. Savona Luigi, particolarmente sentito nel decennio Ottanta, in seno a Cosa nostra, per il suo profondo legame con la cosca mazzarese, intrecciato attraverso il mafioso Bastone Giovanni, personaggio di primo piano nel panorama criminale torinese nel periodo succitato, che ha avuto un ruolo non certo insignificante nella vicenda relativa alla collocazione di un ordigno, non volutamente fatto brillare, nel giardino di Boboli a Firenze».

A cotanta prosa cristallina ci permettiamo di aggiungere che di questa faccenda della «mafioneria» (mafia più massoneria, i due sulla Stampa usano quest’espressione) nonché della citata bomba inesplosa nel giardino di Boboli (1993) ebbero a parlare anche i pentiti Gullotta, Brusca e la Barbera, questi ultimi peraltro in contraddizione tra loro: ma non vorremmo che i due cronisti ci scrivessero un’altra pagina. Soprattutto se apprendessero anche dell’articolato racconto del pentito Leonardo Messina (in Commissione stragi nel dicembre 1992, in procura a Palermo nel febbraio e giugno 1993) il quale parlò di una riunione di Cosa Nostra che decise alcune stragi a mezzo di una «nuova strategia secessionista messa a punto dalla massoneria», oltre al racconto dell’altro pentito Gioacchino Pennino (30 giugno 1999, Firenze ) il quale parlò del professore Giuliano Di Bernardo che «ebbe a motivare le dimissioni che successivamente presentò alla Grande Loggia Unita d’Inghilterra, al Duca di Kent, dicendo che era venuto a conoscenza che settori deviati della massoneria, di concerto con ambienti mafiosi, stavano progettando alcune stragi».

Non è satira. Non stiamo facendo gli spiritosi. A confermare tutto questo, autorevolmente, fu il lucido procuratore Antonio Ingroia in un’intervista rilasciata nel maggio 2002:

«Cosa nostra, a un certo punto, ha abbandonato il progetto secessionista. Giovanni Brusca ha dichiarato che Totò Riina gli disse “mi portarono ‘stu Bossi“, cioè qualcuno suggerì a Riina, in quella fase di ricerca di referenti politici, di agganciarsi all’esplosione del movimento leghista. Teniamo conto che nell’inchiesta della procura di Aosta «Phoney Money» sono emersi dei contatti tra personaggi che ruotavano attorno alla Lega Nord e soggetti che ruotavano attorno ad ambienti della massoneria e dei servizi segreti».

Senza fine.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera