Non sono i depliant ad attirare i turisti

I concetti della tradizione e dell’identità territoriale sono spesso inquadrati in una luce distorta quando si lavora sulla promozione turistica dei territori, e sembrano quasi definizioni innocue e un po’ logore, ma la prospettiva cambia se ci ricordiamo delle parole di Rimbaud quando scriveva che “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare la cenere”. L’identità territoriale è da ricostruire, valorizzare, salvaguardare; peccato però che spesso si parta dal presupposto, sbagliato, che l’identità sia data, immutabile e statica, una cosa che ha a che fare molto con il passato, un poco con il presente, nulla con il futuro. Un’identità triste, un luogo abitato dal rimpianto, dove la nostalgia regna sovrana.

Accettare questa interpretazione significa convertire l’identità territoriale in un’arma ideologica, una forza centripeta per legittimare chiusura e autoreferenzialità, per adorare la cenere. Ne leggiamo esempi ogni giorno.
Come scardinare quest’uso demagogico? Affiancando all’identità il senso di appartenenza. L’identità territoriale, in realtà, non sta mai ferma ma si evolve continuamente, grazie all’interazione tra le persone che abitano i luoghi, che scelgono di appartenere a “quei” luoghi. È il senso di appartenenza che custodisce il fuoco e porta nel futuro un’identità territoriale e che consente all’inclusione di sconfiggere l’esclusione.

Se nasci e vivi in un dato luogo, spesso non ti chiedi perché stai lì. È la tua terra, ecco tutto, di cui magari dai anche per scontato di sapere vita, morte e miracoli (invece spesso sappiamo pochissimo della storia dei luoghi che abitiamo, ma questo dell’“ignoranza locale” è un tabù che nemmeno riconosciamo). Quando invece scegli un posto per fermarti a viverci, quella domanda te la poni eccome. E se la pongono anche quelli che ti vedono arrivare.
L’identità è statica, l’appartenenza è dinamica. La prima può escludere la seconda includere. L’identità territoriale non può che essere arricchita dal senso di appartenenza. Tutta l’Italia è percorsa, da sempre, da flussi migratori di ogni genere: quanti possono dire – risalendo almeno ai nonni – di essere originari al 100% del luogo in cui vivono? Eppure, questo non impedisce a nessuno di sentirsi appartenenti a un luogo: l’identità sociale deriva proprio da questo senso di comune appartenenza, dove tutti quelli che vivono in un luogo hanno uguale cittadinanza, perché tutti l’hanno scelto.

Questo punto è centrale perché è la declinazione immediata del senso di accoglienza di un territorio e quindi anche della sua capacità di sviluppare un’autentica ospitalità turistica.
Una comunità può realizzare concrete prospettive di sviluppo turistico (ma anche sociale, economico, culturale) solo se coltiva sia l’auto-identificazione per incrementare la reciprocità e la solidarietà al suo interno, sia l’inclusività per integrare i nuovi membri, e rafforzare le relazioni verso l’esterno. In una parola, deve possedere uno dei requisiti fondamentali per il turismo: l’attrattività.
Per essere attraenti per i turisti, i viaggiatori, i viandanti, un luogo con la sua cultura e la sua identità deve avere la capacità di aprirsi alle altre culture e dare risposte locali a bisogni universali sempre, non solo distribuire depliant all’info point turistico.

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Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.