Una storia che non potrei raccontare

Ieri ho fatto una cosa di cui non potrei parlare. Ho anche firmato un foglio in cui c’era scritto che non avrei parlato con nessuno; non mi era sinceramente mai capitato in vita mia. Nemmeno, c’era scritto, con i miei amici e con i miei famigliari. Quindi forse quest’articolo è un reato, ma mi sembrava talmente impossibile non raccontarlo che provo a eliminare una serie di elementi e non farlo essere un reato.

Qualche giorno fa mi chiama una signora molto allegrotta di una società di sondaggi e mi chiede se sono un cliente privilegiato di una certa compagnia telefonica – che da questo punto in poi chiamerò proprio Certa. Le rispondo di sì, pago una cifra di soldi al mese. Mi chiede se voglio partecipare a un questionario di due ore in cui ai clienti privilegiati come me verranno presentate delle offerte meravigliose da parte della Certa. Mi daranno anche dei soldi, in buoni benzina, 35 euro, accetto? Perché no, penso, tanto mica ho da portare le giacche in tintoria, fare la spesa, andare a pagare il bollo della macchina, etc…?

Allora la signora allegrotta mi chiede tutta una serie di miei dati e mi fa molte domande: se ho mai partecipato a indagini del genere. Rispondo di sì, una volta a sedici anni. (Una mia santa amica ci faceva guadagnare bene per dei sedicenni, anche lì dei buoni benzina, che io rivendevo a mio padre, e una volta venni chiamato a far parte di una ricerca per l’Algida – oddio, qui l’ho detto… vabbè spero dopo ventidue anni di poterne parlare… – e dopo essere stati interrogati in ogni modo possibile su quello che pensavamo dei gelati, ci fecero anche progettare il nostro gelato ideale: in gruppo – eravamo tutti ragazzetti – progettammo un cornetto Algida con il cioccolato fondente invece della panna, e con una quantità di granella e mandorlato in cima almeno sestupla rispetto a quella reale, e in fondo al cono – invece del cubetto di cioccolato duro – un tocco di fumo; in modo da poterlo squagliare quando ha finito di mangiarsi il cono. Se mai Algida metterà in commercio un prodotto simile, ora sapete di chi è l’idea).

Dicevamo. Tra le altre cose che mi ha chiesto c’era se facevo marketing, se avevo parenti che lavorano alla Certa, e molte altre domande alle quali idiotamente non avevo capito che avrei dovuto rispondere sempre no, e infatti quando mi ha chiesto se facevo il giornalista, le ho detto quasi orgoglioso che sì scrivo ogni tanto sui giornali. Ah, mi ha detto lei, allora non si può fare. Ma no, ho corretto subito il tiro io, l’ultimo articolo l’avrò scritto a vent’anni, ora faccio l’insegnante. Insegnante e basta, una scelta di vita. Giornalista mai più. Mi ha accettato allora, e mi ha dato l’appuntamento per il giorno x al posto y.

Mi sono presentato vestito bene, e pieno anche di buone intenzioni, collaborativo, utile. Ma anche con un inconscio un po’ snowdeniano. Io, l’infiltrato nella Certa. Quello che avrà in mano fra poco i Certaleaks. Salgo in questa palazzina similministeriale, moquette anni ’80 sulle scale, ascensore Schindler, uffici di rappresentanza con un tocco vintage da tempo dell’Iri. Entriamo e un ragazzo mi dice di dargli il documento e mi chiede di firmare un foglio che gli consente di effettuare le riprese e di poterle usare un po’ come vogliono loro. Non dicono nulla della seconda parte del foglio, quella appunto in cui si dice che queste informazioni non le dovrò rivelare nemmeno ai genitori e agli amici, e a me – mentre ci viene chiesto di tenere spento il cellulare per tutta la durata del colloquio – viene da andare subito in bagno e coprendomi la voce di spifferare tutto a mia madre o di fotografare il foglio in cui c’è scritto anche che non dovrò divulgare nulla, nemmeno – testuale – “i gusti e i valori”. Mentre mi astengo dal fotografare e firmo, sentendomi già un inetto nel mio progetto Certaleaks, il tipo ci dice: “Mi raccomando, la cosa fondamentale è che vi sentiate molto liberi”.
Si sta rivolgendo già al gruppo. Siamo una decina di persone, più maschi che donne, che vengono fatti accomodare in una stanza caldissima, a un tavolo quadrato, su cui sono collocati dei segnaposti su cui possiamo scrivere il nostro nome. Anche qui mi viene l’istinto di scrivere un nome falso. Gherardo. O similvero, Leonida (il mio secondo nome, già). Ma poi penso che per infiltrarmi meglio devo almeno all’inizio essere più conformista possibile.

Facciamo le presentazioni. Di fronte a noi c’è un tizio di 39 anni che condurrà tutte le due ore e che dice che ha un treno subito dopo, e quindi saranno due ore secche, e poi dice (mi chiedo da subito se anche lui ci stia dando il suo vero nome) di chiamarsi con un nome che non posso comunque riportare, credo, e che quindi per una forma di amore estemporaneo per la classicità chiamerò Serse. Il signor Serse è vestito con una camicia viola chiaro, e i pantaloni verdi. (Non credo di infrangere la regola sui “gusti e valori” riportando questi dati, dato che – sto ragionando ora – da Galileo in poi, si distinguono le qualità primarie e le qualità secondarie degli oggetti), è sbarbatissimo, parla con una calata molto evidente (della città in cui, leggenda vuole, che sia iniziato il processo di conversione di Sant’Agostino: eludo la censura così?), e prova a metterci a suo agio. “Diamoci del tu, vi scoccia? Scrivete i vostri nomi così ci conosciamo…”

E così conosco Alcibiade 42 anni sposato, Trasimmaco 38 anni con una figlia piccola, Gorgia 52 anni separato con due figli adolescenti, Eurialo 49 anni con due figli, Diotima 61 separata con due figli, Santippe 30 anni che vive a casa con i suoi, e Saffo (okay, non mi vengono molti nomi greci di donne) 33 anni appena sposata senza figli. Qualcuno (addirittura forse io) fa la solita battuta – “Sembra una riunione degli alcolisti anonimi” – che ha l’effetto di rompere il ghiaccio o forse di consolidare quello che c’è già.

Ci viene poi chiesto che lavoro facciamo, e come ci sentiamo in questo periodo: con un solo aggettivo. Alcibiade dice di lavorare come consulente e dice: “Tutto sommato tranquillo”, al che io vorrei far notare a Serse che Alcibiade ha usato un avverbio e un aggettivo, ma poi non voglio subito mostrare il mio lato ruvido. Trasimmaco dice anche lui di lavorare come consulente: “Costruttivo”, ha avuto una figlia da poco, chiarisce. Gorgia dice di fare il rappresentante ma di fare ogni tanto anche lui il consulente: “Sereno”. Mi meraviglio di tanti consulenti, nel mondo dei miei amici nessuno fa il consulente, e penso di essere stato chiamato qui proprio come appartenente a una nicchia marginale di mercato. E quando tocca a me rivendico con orgoglio il mio mestiere di insegnante e dichiaro – così senza mezzi termini – di sentirmi critico in questo periodo. Oh. Così sanno con chi hanno a che fare. Seguono gli altri e le altre: a Santippe piace l’arte, Diotima fa volontariato…

Poi entriamo nel vivo. “Da quanto è che state con Certa?”, ci viene chiesto. Ognuno risponde non semplicemente con un dato, ma racconta una storia. Con un misto di vanità e sincerità. Io l’ho presa con mio marito, io prima stavo con Taluna, poi sono passato con Certa, poi sono tornato a Taluna, e poi sto di nuovo con Certa, sono una persona molto dinamica. Un paio di persone dichiarano di stare con Certa da 13 anni, quando Certa ancora non si chiamava Certa ma Qualunque: sono rimasti sempre fedeli (uno di loro si è separato, realizzo che ha appena detto, ma Certa non l’ha lasciata). Io prima stavo con Talaltra, dice Santippe, poi sono passata a Quellalì, poi con Quellalì mi addebitavano le doppie fatture e quindi sono passata a Certa.

Tutti dichiarano di odiare di fare la ricarica. Tutti dichiarano di aver fatto un contratto da cliente privilegiato di Certa perché così possono evitare di fare la ricarica. Gorgia dice di aver messo Certa anche a casa, così gli arriva un’unica fattura. (Per tutte le due ore Gorgia sarà quello più entusiasta, che parlerà sempre in toni encomiastici di Certa, tanto da farmi pensare che è un infiltrato, non è uno come noi, ma è stato messo in mezzo a noi per vedere come reagiamo con uno come lui, così motivazionista). Diotima dice che la Certa è più per adulti e per le aziende, Taluna le sembra più per ragazzi.

Non mi ero mai posto questo tipo di interrogativi; ma basta poco, e anche io, che desideravo restare più o meno muto per tutto il tempo del colloquio, mi rendo conto che, per non sentirmi solo, ho bisogno di parlare, e l’argomento unico ora è Certa. Io inizialmente ero Taluna, poi sono passato a Quellalì, e adesso sono Certa, dice di sé Eurialo, come raccontasse i suoi riti di passaggio. Sempre Eurialo però poi chiosa che secondo lui ora Certa sta perdendo un sacco di clienti: il motivo è che non danno più i punti. Sulla questione dei punti, si ritrovano tutti d’accordo, e così anche io mi unisco all’indignazione. Cavolo, niente punti. Ai clienti normali sì, oltrettutto, e a noi privilegiati che paghiamo una cifra di abbonamento al mese, no? Santippe allora dice a Eurialo un po’ provocatoria: “Potevi cambiare, potevi andare da Taluna”, e la conversazione comincia a animarsi a tal punto che Serse la riporta all’ordine, perché lui ha un ordine del giorno da rispettare. Perché, da un momento all’altro, quelli che sembravano tutti dei Certisti, si sono trasformati in clienti molto critici: chi dice che non si è accorto che non ha firmato una stipula assicurativa sulle riparazione del vetro dello smartphone mentre chi glielo aveva venduto non gliel’aveva detto. Tutti si lamentano della trasparenza, e quindi anche io.

Serse allora ha richiamato tutti a essere pratici, e ci ha chiesto: “Voi come vi sentite trattati da Certa? Scrivetelo sul foglietto davanti a voi”. L’abbiamo scritto, e poi Serse ha letto e commentato. Eurialo, mi sembra, ha scritto Seguito. “So’ ambigui su varie cose, a vorte te dicono una cosa e alle vorte n’artra”, dice Diotima, ma nonostante tutto si dichiara Soddisfatta, “Chiamo il numero verde e posso parlare, e mi passa lo stress”. Considerato, dice non mi ricordo chi, e Non considerato dice Alcibiade, e enumera una serie di quelle lui chiama criticità. Trasimmaco dice di sentirsi un numero, vagamente agambeniano. “Siamo numeri, anche chi ti chiama dal numero verde, ti tratta come un numero, e ti lascia in balia”. “Un semplice cliente”. “Non privilegiato”. Fino ad arrivare a me, che dico Cojonato. È la verità, una verità che ho corroborata con dei correlati oggettivi quando Serse ha distribuito delle vecchie riviste e ci ha chiesto di ritagliare, strappando, l’immagine che associavamo al nostro rapporto con Certa. La maggior parte ha scelto delle immagini molto poetiche, il buio, una cabina telefonica che vola, dei punti di domanda enormi. Io scelgo, sempre convinto della mia dissidenza invisibile e simbolica, un relitto di una nave. Poi ci viene chiesto ancora che tipo di rapporto abbiamo con Certa. Escono fuori, tra le altre cose: il lupo e l’agnello, Davide e Golia, “io sento che Certa è una di famiglia”, presidente e suddito. E io dico: un lenone e le sue prostitute. Serse comincia a detestarmi.

Il colloquio poi si fa sempre più difficile. Ormai parliamo di telefonia ininterrottamente da un’ora e passa, e io mi stupisco quando realizzo con quanti dettagli, competenza, riflessione, ne possiamo parlare. Forse è l’unico discorso che accomuna tutti, transgenerazionale, senza differenze di genere o di composizione sociale. Quindi, quando a un certo punto si discute se con una tale offerta ci sembra economico il tale tablet scontato di x%, tutti hanno una loro opinione molto competente. E poi quando veniamo divisi in due squadre (io capito con le altre tre donne), osiamo. Alla domanda Che nome vorreste che Certa usasse per voi?, a noi della tariffa privilegiata – rispondiamo Li mejo, sbruffoni. L’altra squadra dice Star. E da lì in poi, mentre ci mostrano quali sono le offerte che Certa ha immaginato di proporre per chi appartiene a una classe di clienti privilegiati come noi, in maniera abbastanza stupevole vedo che si crea una specie di minimo orgoglio di classe: noi, reciprocamente sconosciuti in questa stanza, siamo gente che spende un sacco di soldi con il cellulare, ci spetta qualcosa in più. Allora Serse prova a illustrarci come Certa ci sta venendo incontro: un’offerta 1 in cui ci arrivano dei biglietti per i concerti di grandi artisti italiani, un’offerta 2 in cui ci vengono dati un po’ di soldi da spendere in marchi famosi, un ‘offerta 3 in cui ci vengono regalati dei biglietti per la nostra squadra di calcio preferita in tribuna vip… E piano piano la nostra fame si placa… Un’ingresso in una spa, un iPad air, uno sconto su un altro abbonamento… “Certa dovrebbe ricompensarci, coccolarci…”. Per Trasimmaco un operatore dedicato di Certa dovrebbe chiamarci una volta ogni due mesi almeno e chiederci: “Come stai? Tutto a posto? Che problemi ci sono?”… Per Eurialo il valore fondamentale (sto parlando di valori? mmm…) è che noi privilegiati siamo trattati meglio di quelli che usano la ricaricabile. Quei pezzenti. “Ogni cliente è diverso, in base a quanto paga”. Mi rendo conto che in queste due ore siamo diventati praticamente amici. Se proponessi agli altri una pizzata dopo il colloquio, non mi prenderebbero per pazzo. Prendiamo in giro Santippe, perché pare che Certa sia particolarmente generosa con lei, e abbiamo una buona parola per Gorgia perché, a parte il suo entusiasmo adesivo a Certa, sembra proprio una persona lodevole.

Così, quando all’ora di cena saluto tutti e mi prendo i buoni benzina, mi sembra di aver appena partecipato – dopo una giornata alienante e faticosa – a un’esperienza religiosa e calda. Ho parlato di oggetti segreti, di valori, di gusti che non potrò comunicare ad altri; e ho trovato dei fratelli in tutto questo. Persone con cui condividere degli ideali. Tipo: no a sorprese da parte di Certa, sì ai punti da accumulare. E anche Serse e la donna seduta accanto a lui che ha stenografato tutto l’incontro ci salutano con il tono confidenziale e elusivo di quelli che un giorno sono qui, l’altro chissà dove: apostolici, i calzari sotto i piedi e un bastone.

Questa è la mia civiltà, mi dico, questa è la mia civlità catacombale, questi sono i sadducei, gli esseni, gli zeloti del nostro tempo. Persone che nell’oscurità stanno provando a cambiare i piani tariffari, a migliorare le offerte commerciali nei confronti delle altre compagnie telefoniche, a inventare campagne pubblicitarie per cui noi eletti possiamo finalmente avere un premio come si deve…
E del resto, penso avviandomi sotto una pioggerella a recuperare la macchina, come nei migliori Vangeli, mi dico, anche quando Gesù dice agli apostoli di non rivelare niente a nessuno, loro disubbidiscono e dopo poco la notizia di qualche evento prodigioso si è subito sparsa…

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.