Serve un Ralph Nader per Internet?
ll download della coscienza è un tema sviluppato sotto il titolo di “Singularity” dal transumanista Ray Kurzweil. Oggi che è direttore dell’ingegneristica di Google, Kurzweil è stato riscoperto e rivalutato. Quando ne descrissi le teorie in “Tecnosciamani” qualche anno fa, era considerato da molti un futurologo un po’ picchiatello. Quello che era un inventore visionario, ora è incaricato di realizzare le sue visioni in una delle multinazionali più potenti del mondo.
A proposito di visionari rivalutati, mi sono riletto un po’ di Marshall McLuhan quest’estate per preparare un corso universitario di teoria della comunicazione che insegnerò a Madras. Con gli studenti indagheremo, tra le altre cose, sulla New Intelligence e su come internet cambia e cambierà la comunicazione. McLuhan (“l’utente è il contenuto”!) aveva già anticipato tutto, nei dettagli, addirittura anni prima che nascesse arpanet, l’antenata militare di internet. Ma McLuhan, in fondo in fondo, sembrava ottimista su un punto: vedeva nello sviluppo tecnologico una possibile chiave di affrancamento e liberazione dai vincoli del lavoro. Questo non s’è ancora avverato, e l’umanità non sembra avviata in quella direzione. Ma potrebbe.
Mi sono letto anche il saggio del 2013 di Roberto Casati “Contro il colonialismo digitale, istruzioni per continuare a leggere,” che mi pare sia stato frainteso da qualche critico come un allarme luddista. Non è così. Sul tema in questione scrive, tra le altre interessanti cose, che il digitale non è una fase transitoria, è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti con lucidità. Che male c’è? Mi è parso che in fin dei conti anche Casati, dal suo osservatorio parigino, stia partecipando a un ragionamento su come contenere un’invenzione fuori controllo. È un razionalissimo e umano richiamo a renderci conto che le innovazioni tecnologiche subiscono uno sviluppo spesso indipendente dalle pianificazioni e proiezioni industriali, ma è anche un invito a cominciare ad avere un rapporto più maturo e misurato con i nostri strumenti. Questa è un fase che si verifica quasi sempre nel rapporto tra uomo e innovazioni tecnologiche.
Dai, che quasi ci siamo e possiamo tutti darci una calmata (a parte l’iPhone6 e l’Apple Watch)!
Ma questa calmata nel rapporto con internet e con gli strumenti che ci consentono di fruirne è giusto che ce la diamo per evitare di esserne inconsapevolmente sopraffatti e quindi diminuire i vantaggi benefici dell’innovazione con i costi di un uso ingordo che rende succubi di qualcosa che non riusciamo più a fermare: come la dipendenza da Internet, intendo dire. Oppure il nostro orgoglio.
Com’è successo qualche anno fa al blogger Lee Siegel che, non riuscendo ad accettare i commenti critici nel suo blog su The New Republic, si è inventato un nick e si è messo a ribattere colpo su colpo con insulti e ingiurie. Se loro sono anonimi, perché non posso esserlo io, s’era detto Siegel. Smascherato rapidamente dagli utenti stessi, fu costretto a dimettersi e ad affrontare lo sputtanamento. Questa è stata la sua fortuna, scrive in “Against the machine,” perché di lì a breve gli arrivò il contratto per il libro nel quale inizia il suo excursus del nostro rapporto con Internet facendo un paragone interessante: le automobili.
Fino al 1965 le case automobilistiche producevano veicoli senza prendere molto in considerazione i possibili danni a conducenti, passeggeri e passanti. Avevano fior di studi che indicavano pericoli e danni della auto, ma i costi per mettere in sicurezza gli automobilisti erano più alti dei benefici. Ci volle un Ralph Nader (che divenne poi l’eroe e la guida politica dei Verdi americani) a puntare il dito per mostrare le carte e denunciare le granchi marche automobilistiche. La sua battaglia fu vinta solo in parte, ma il punto qui è: siamo sicuri che anche Internet non abbia bisogno di un Ralph Nader che scriva un suo “Pericolosa a qualsiasi velocità”? Un Ralph Nader che costringa forse chi gestisce la rete a dare garanzie di privacy migliori, ad esempio, ma che aiuti gli utenti (che sono il contenuto, appunto) a non lasciarsi trasformare in androidi, come prevede Kurzweil?
Da quel che sembrerebbe, in questa fase di “contenimento” di Internet e dei possibili sviluppi dell’intelligenza artificiale non si tratta di aumentare le regolamentazioni (tutt’altro!) o di difendere la grande libertà e neutralità della rete (vedi la crociate a favore della “Net Neutrality” cui partecipa anche il brillante erede di Jon Stewart, John Oliver), ma nemmeno di cadere nella “net-delusione” di cui scrive da tempo Evgenij Morozov, smascherando le bufale cyber-utopistiche su Internet che causa le rivoluzioni in Medio-oriente, ma si tratta piuttosto di fare comunicazione, dare informazioni, spingere a pensare e a riflettere per non cadere in un automatismo caratteristico degli ingranaggi automatici o elettronici, non necessariamente dello spirito critico degli umani.