Uomini sotto la pioggia

Una ce n’è. Di cosa buona. Buona, insomma…. l’insonnia diventa più sopportabile quando senti la pioggia. Tu sei al caldo, nel letto, e il contrasto tra i tuoni e quello stato di veglia e di stasi, rischia di diventare poetico. All’inizio pensavo questo, giovedì mattina, quando a partire dalle cinque su Roma si sono addensate le nubi, aria calda e aria fredda, scontri in quota, temporali violenti. Già ai primi tuoni, ripetuti con frequenza via via più accelerata, mi era venuta in mente la lettera che Cechov scrive a un suo amico “un uomo deve divertirsi, far pazzie. Commettere errori e soffrire! Una donna vi perdonerà un’impertinenza o una sfrontatezza, ma non vi perdonerà mai questa vostra ragionevolezza”. Mercoledì sera al corso di scrittura, 7 donne e 2 uomini, s’era discusso di questa frase: le donne non perdonano agli uomini un eccesso di ragionevolezza? E se sì, cosa gli uomini non perdonano alle donne?

Ci penso ci ripenso, niente, c’ho il blocco, ma i tuoni acquistano consistenza: cazzo, veramente comincia a piovere, e nel momento in cui un tuono esplode come una bomba, a pochi metri da villa Pamphilj, e rimbomba tutto, mi viene in mente, quasi come se lo spostamento d’aria, m’avesse spostato il blocco, insomma penso: ma come sono questi uomini? Le donne, il perdono, la passione, ma gli uomini? Come sono? Poi è cominciato a piovere, si sono svegliati tutti e che vuoi più ragionare.

Le sette, sette e mezzo, i miei fanno colazione, io no. Mai fatta. Cioè non la faccio dal dicembre del 1984, da quando lessi storie di ordinaria follia di Bukowski, lì il poeta scriveva che i veri uomini non fanno mai colazione. È oggettivamente una cazzata, i medici me lo rimproverano sempre: ma come, ci diamo tanto da fare per spiegare l’importanza di una corretta alimentazione, ma che ci posso fare? ci sono dei libri che cambiano la vita, io ho conosciuto tante persone che si dicevano diversi dopo la lettura del Gabbiano Jonathan Livingston, allora dico, meglio Bukowski, e in fondo anche Cechov diceva: i veri uomini si divertono soffrono, fanno pazzie, ma di sicuro non fanno colazione, e comunque, guardando i miei fare colazione, mi stava venendo un pensiero su come sono gli uomini oggi, ma che vuoi fare, la fretta, bisogna scendere, portare i ragazzi a scuola.

Vabbè, animo e coraggio, impermeabili, ombrelli e andiamo, un po’ di pioggia che sarà mai. Nel caso possa interessare, tre righe digressive: ci sono dei genitori che coprono i figli fin da piccoli, li sistemano nel passeggino e li avvolgono in sudari di plastica, noi preferiamo un altro genere, siamo sullo spartano, tipo, i veri bambini vestono a braccia scoperte, questo non lo diceva Bukowski, insomma non ci sono testimoni autorevoli, ma l’esperienza mi dice che coprirsi troppo fa male.

Scendo prima io, Brando mi segue, Marianna chiama una sua amica, Elisa. Io raggruppo la truppa. La pioggia è pesante e rumorosa. Elisa ha paura. Noo, dico io, che paura, è bellissima la pioggia. Ah pa’? Mi dice Brando: mi sto bagnando tutto, muoviamoci. Certo, dico, andiamo, i veri uomini non hanno paura dell’acqua. Facciamo i venti metri che ci separano dal marciapiede e ci fermiamo. La strada non c’è più. Non c’è proprio. Al suo posto un torrente d’acqua. Con le rapide. Vedo con i miei occhi un signore che annaspa, lui e il motorino. E come passiamo? Che bello, non si va a scuola! dice mia figlia. Noo, i veri bambini vanno a scuola. Sempre.

Però, ‘sti cazzi. La macchina è dall’altro lato, dall’altro lato del fiume. Intanto, mi arrivano bestemmie molto colorite all’indirizzo di santo Alemanno, insieme all’eco dei tuoni. La manutenzione dei tombini! Ma che cazzo di città è questa! Cose così. No, penso, quando parlo io di manutenzione, nessuno mi ascolta, soprattutto le donne: e come sei ragionevole, e che cos’è? Un uomo deve divertirsi, far follie, soffrire, tu mi vieni a parlare di manutenzione. E volevo appunto dire a quella signora che in mezzo al fiume, si lamentava dei tombini otturati: allora, la capite la mancanza di manutenzione. La prossima volta non ve la prendete con me, quando mi sfottete: la manutenzione degli affetti? Cioè?

Adesso siamo in sei ad essere bloccati. Tutti uomini con figli, fermi. E come attraversiamo? Ci guardiamo in faccia. La pioggia cade e fa i buchi per terra, i frassini di via di Donna Olimpia assorbono la luce, tutto è scuro, gialliccio, malato, le macchine sembrano rompighiaccio, avanzano con tremore ed esitazione.

Ci penso io, dico. E intanto arriva Daniela. Dove vai?, mi dice. A prendere le buste di plastica, mi carico i bambini in braccio e attraversiamo il guado. I sei mi guardano pensierosi, un’anziana signora sorride al mio spirito di iniziativa, corro di nuovo sopra, apro gli armadietti e mi accorgo che non ci sono buste. Cioè ho quelle nuove, quella specie di finta plastica. Vabbè, penso, resisterà. Penso anche: devo chiedere poi a Bressanini di che materiale sono fatte, se è vero che sono biodegradabili ecc. Lego le buste ai piedi, sono bagnato, ma mi sento forte e riscendo per la traversata.

Penso; in fondo com’era mio padre, com’erano gli uomini della sua generazione? Quelli che ho avuto come modelli? Erano uomini assenti nel quotidiano. Chi li ha visti mai? Dov’erano durante il giorno? E intanto un tuono fa tremare i vetri. Non c’erano mai, tranne che nei momenti di eccezionalità, lì, allora, li vedevi arrivare, con la tromba in mano: arrivano i nostri. Nevrotici, esaltati, prendevano in mano la situazione e qualche volta risolvevano i guai. Insomma, provate a chiamare mio padre alle due di notte, siete sull’autostrada, che ne so, a Busto Arsizio, bloccati da una tormenta, lui smadonna, ti offende, si incazza, ma prende la macchina e viene. Vi deve capitare questo guaio però, altrimenti, chiamate invano. Tutti gli uomini della generazione di mio padre erano così, e noi abbiamo combattuto contro di loro, volevamo essere diversi, più affabili, più presenti, più disposti ad ascoltare. Ma ora che sto con le buste ai piedi e come Mosè avanzo verso i miei, mi sento forte, uno senza ragionevolezza, che attraversa il guado. Mia figlia mi guarda con una certa soddisfazione. E ci credo, gli altri uomini, quelli che fanno colazione, che coprono i figli come se dovessero scalare l’Everest, sono ancora sulla soglia che maledicono Alemanno e i tombini, fracidi, ma immobili, ragionevoli: aspettiamo che spiove.

Andiamo, dico e prendo mio figlio in braccio. Ma dove cazzo vai? dice Daniela. Poi prendo le ragazze e te, dico, e metto piede nel torrente, tanto ho le buste fino al ginocchio e sì, dopo lo chiamo a Bressanini per chiedergli come sono fatte, e in quel momento sento l’acqua che oltrepassa la busta di plastica e mi invade le scarpe. Mi viene un pensiero maledetto, contro gli ecologisti, loro e queste cazzo di buste di plastica biodegradabili – che lo chiamo a fare Bressanini – ma non erano meglio quelle di prima, vabbè inquinavano, però stavi asciutto.

Ma sono o non sono un uomo che non fa colazione? Mi può fermare l’acqua nelle scarpe? Vado, attraverso, l’acqua mi arriva al ginocchio, a pa’, attento a non cadere. Non preoccuparti amore mio, e vincendo le correnti arrivo alla macchina, insomma, con calma, faccio dieci metri in dieci minuti.

E uno, dico, me ne restano altri tre, torno, riattraversare è un’impresa, ora Donna Olimpia è come Rio delle Amazzoni, tutti con i telefonini che filmano, filmano me, esaltato da questa impresa da vero uomo. Arrivo e trovo Daniela e le ragazze con le buste ai piedi.

Grazie, facciamo da sole. Ma come da sole? Ci sono io. Prendo Marianna e Elisa per mano, rimettiamo piede in acqua e le ragazze dicono: entra l’acqua, e mannaggia Alemanno e gli ecologisti, andiamo, coraggio, la vita è bella, anche la pioggia, siamo forti. Tutti in macchina. Entra anche Daniela. Mette in moto. Le faccio fare manovra, non si vede niente, tutto è caotico, disarmonico, nevrotico, eppure moderno, mi risuona in mente la canzone A Cure, dei Blonde Redhead.

Non vedo niente, mi grida Daniela, tutti i finestrini sono appannati, ma io niente, fermo le altre macchine e faccio partire i miei, verso la scuola. Sono contento, mi prendo anche un caffè al bar, il mio sigaro dopo l’impresa, poi salgo a casa. Zuppo, mi spoglio, contento di me, come Ercole dopo la settima fatica e in quel momento, scivolo nel bagno e casco per terra. Batto schiena e testa. Mi rialzo debole. Crisi glicemica. Mi mangio un biscotto, tanto Bukowski non lo saprà mai.

E poi succede. Non so se succedeva a John Wayne, nemmeno lui faceva colazione. Chissà se succedeva a mio padre, insomma, sento il trigemio che comincia a farmi male. L’occhio sinistro si adombra, la classica aurea. Mi sta venendo un mal di testa come dio comanda. Niente medicine, funzionano poco. Ho un’unica possibilità, mi metto al letto, sotto le coperte al buio.

Il trigemio provoca un dolore acuto che sale sale e se ci pensi che potrebbe salire ancora un po’, desideri ammazzarti. Me ne sto al buio, sotto le coperte. A un certo punto chiama Daniela per dirmi qualcosa come: tu e le tue nevrosi, mi hai fatto fare la strada al buio, non vedevo niente, tutti i finestrini appannati.

Ma sono nel deliquio. Chi sono gli uomini oggi? Personaggi come me, che dopo l’impresa eroica si prendono il mal di testa? Ragionevoli per finta e irragionevoli per un eccesso di nevrosi? E cosa non perdoniamo alle donne? Nel deliquio da mal di testa, con il trigemio in fiamme, mi vengono in mente le donne: quelle che vivono da sole e aggiustano la caldaia, ma poi hanno nei letti degli orsacchiatti. E questo? Le chiedi. Questo è il mio amore, rispondono. Hanno il pelo bruciacchiato, sono brutti sgorbi che loro curano come se fossero gli unici sopravvissuti a mondo, dei principini più unici che rari, quelle che leggono Cechov, la signora con il cagnolino e dicono: ma le donne non sono così, sempre queste donne alle dipendenze degli uomini, ma dai, quelle che leggono Cechov e dicono, come sono antipatici questi personaggi, eppure questa è la grandezza di Cechov, anche i personaggi antipatici e scialbi hanno diritto all’amore e anche loro riescono a scoprire una verità su loro stessi, quelle che parlano male degli uomini, quelle che del sesso non gliene importa nulla, non è così importante, quelle che soffrono per amore, quelle che hanno paura di invecchiare, quelle che hanno paura dell’eternità e in tutto questa bailamme di pensieri malati io non sono risuscito a rispondere alla domanda: cosa non perdonano gli uomini alle donne?

Gli uomini quelli che fanno colazione e sport e quelli che non la fanno, quelli che si eccitano nelle situazione eccezionali e dicono: da ora cambia tutto. E poi diventano ragionevoli e dicono: mah, magari pensiamoci su un attimo. Quelli che vanno a cena con una ragazza e parlano della crisi che stanno attraversando con la moglie, quelli ragionevoli sempre, quelli irragionevoli sempre, quelli a metà, indecisi, e con il mal di testa, il trigemio palpitante, sotto le coperte, al buio che non riescono neppure a fare un finale decente, senza citare la modesta canzone di Zucchero sulle donne.

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.