Viaggio in India, dove da oggi si vota

Sono tornato in India dopo 26 anni. Allora con il mio amico Elio, omeopata, contrario ai vaccini di cui io mi ero imbottito. E oggi con famiglia, figli, senza vaccini.

Bombay da non riconoscerla (non solo per il cambio di nome). Il Rajasthan apparentemente frizzato nel tempo. Dieci giorni anche dentro le più grandi, lunghe elezioni di una democrazia, nella storia. In India si vota da oggi, 7 aprile, fino al 12 maggio. Su un miliardo e 200 mila abitanti hanno diritto al voto in 815 milioni, e di solito va alle urne il 60 per cento. L’India è un paese giovane con 600 milioni di persone sotto i 26 anni. Un paese immerso nel trend generale che riempie le città e svuota le campagne in un modo più tumultuoso che nel resto del mondo. Si è scritto che saranno 300 milioni le persone che nei prossimi 25 anni arriveranno nelle 50 città abitate già da oltre un milione di abitanti.

«Good breaks, good clackson and good luck» (buoni freni, un buon clackson e buona fortuna ) è il noto augurio per chi si imbarca su un’automobile in India. E così abbiamo fatto molte ore di macchina e ho visto scorrere dai finestrini infiniti quadretti di donne e bambini piegati nei campi. Secondo il Times of India, l’abbandono scolastico nelle elementari resta sopra il 50 per cento. Le cartoline senza tempo della povertà indiana mi sembravano quelle seppiate di un quarto di secolo fa. Poi siamo arrivati a Mumbai, alla fine del viaggio. Erano le sette di sera. Dall’aeroporto alla città ho visto sfilare a passo d’uomo tante BMW, Audi e SUV di ogni marca che non avevo mai visto nella settimana precedente. Lo skyline sembrava quello di New York, con il sole che tramontava, scomparendo tra i grattacieli. Ho capito un poco di più, nei tre giorni seguenti, della nuova India.

All’amica che ci accompagnava in macchina ho chiesto di farci vedere dove vivono i nuovi ricchi di Mumbai (il 40 per cento della ricchezza del paese è concentrata qua). Questi sembrano volere solo grattacieli, che tirano su per contenere le loro estese famiglie e affermare il nuovo status, più che rimettere a posto le meraviglie di case deco inglesi. C’e’ ostentazione, ma nello stesso tempo convivenza con la povertà, che la città raccoglie e ospita sui suoi marciapiedi e negli slums di lamiera e cartone che confinano con le portinerie delle abitazioni esclusive. E questa è l’India difficile da capire per noi, che abitiamo in quartierini separati da confini, nemmeno tanto virtuali, a seconda del reddito. La mia amica dice che il ciclo delle rinascite crea una consapevolezza che è più della semplice tolleranza. Un equilibrio che sembra coesistere con la divisione in classi, quelle che chiamiamo caste, abolite ma vive e vegete quando si tratta di matrimoni, che sono ancora nella stragrande maggioranza trattati (combinati, diremmo noi) dalle famiglie. A Mumbai succede che ci si sposi senza passare attraverso il filtro dei genitori, ma negli altri stati i vincoli di casta resistono. Nel viaggio ho chiesto a chiunque mi è stato presentato del suo matrimonio e di quello dei figli. Si sposano due famiglie, non due individui, mi hanno sempre risposto.

Quando ho chiesto degli stupri di cui si è molto parlato in Occidente mi è stato risposto che è stata introdotta la pena di morte per questi criminali. Però non basta a dire perché siano in aumento le violenze all’interno delle famiglie. Alla fine del giro nelle case degli arricchiti siamo andati alla casa-museo di Gandhi, dove il minimalismo estremo ci ha riconsegnato l’India dei libri di storia.

Rahul Gandhi è il leader del Partito del Congresso che ha governato per 54 degli ultimi 67 anni. Rahul ha provato a raccontare come la “nuova classe” sia il prodotto degli ultimi dieci anni di governo della sua coalizione. Ma il messaggio che è passato è la dilagante corruzione non arginata in questi anni. Il favorito di queste elezioni è invece Narendra Modi: il suo volto domina i manifesti, straripa nelle cronache dei suoi comizi ed è onnipresente sui social media; folle più battagliere di quelle dei sostenitori di Rahul Gandhi seguono Modi, designato dal BJP, il partito induista, al governo del paese. Promette crescita industriale e posti di lavoro, nel tentativo di far dimenticare il massacro, da lui favorito, di un migliaio di musulmani in Gujarat nel 2002, in risposta alla strage di 59 pellegrini induisti. Nella campagna nazionalista di Modi sono entrati anche i due soldati italiani detenuti in India, con l’accusa a Sonia Gandhi di favorirne la liberazione.

Un terzo partito, l’AAP, cresce nei centri urbani con un programma anti-corruzione a cui si aggiunge l’insofferenza per i due grandi partiti. Tra i suoi candidati ci sono molti giovani, giornalisti, professori, studenti, che rispecchiano un elettorato simile. Un fenomeno che mi guardo bene dall’assimilare a movimenti che conosciamo ma che esprime una domanda diffusa alla politica che va oltre questo grande paese.

Ho visto in televisione (presenti circa in metà delle abitazioni indiane) dibattiti tesi nei canali di lingua inglese, spesso con insulti. È in gioco la rappresentanza di una transizione che sembra fare a meno della politica, che anzi chiede alla politica di non ostacolarla e di fare rispettare regole che esistono ma che vengono ignorate. Da quelle più visibili (operai edili arrampicati ovunque senza caschi) alla istruzione obbligatoria negata, al lavoro minorile, a una politica salariale che contribuisca a mitigare la piaga delle bustarelle e delle mani tese. In viaggio mentre leggevo i quotidiani ho più volte letto, come fosse un dato immutabile, della compravendita di voti nelle campagne, a pacchetti di migliaia di persone.

Non senti più, camminando per i mercati, entrando nei caffè, quell’odore dell’India ferma nel tempo dei libri e dei film. Respiri un’aria che conosci (in America, in Italia), che passa però attraverso un grande ventilatore che si muove a corrente alternata. A Mumbai come un vortice, nelle campagne come un soffio. Forse quest’India è ancora più affascinante di quella di 26 anni fa. L’impressione è che dovremmo allargare la nostra idea di quale siano i centri di gravità del mondo. E parlo anche di musica, scrittura, arte.
Il mondo visto da Mumbai potrebbe essere in futuro più interessante di quello visto da New York.

Andrea Salvadore

Vive a New York e fa il regista. Ha un blog, Americana Tv