Momenti di equilibrio liquido: ponti sull’immaginario collettivo

Veleggia veloce, pattinando sul mare

In cui si comincia a raccontare una vicenda che sta particolarmente a cuore a chi scrive ma prendendola proprio alla larga, come di consuetudine. Dalle navi veloci alle navi volanti, tanto per capirci. Per adesso parliamo di clipper, di navi a tre alberi, di streghette e di ciuffi di crini della cavalla Meg.

Da bambino mi avevano regalato un libro molto grande (almeno dal mio piccolo punto di vista) con le più famose navi della storia. Era uno di quei libroni Mondadori con un po’ di testo e giganteschi disegni a colori che erano veri e propri quadri. Illustratori straordinari, nei miei ricordi, che riuscivano a rendere il pathos di una stampa di Ludolf Bakhuizen o di un dipinto di Domenico Gavarrone. Oggi magari mi sembrerebbero disegni naïf, ma all’epoca mi facevano letteralmente volare sulla mia seggiolina: miracoli della scarsità di stimoli nell’infanzia pre-information overload.

Tra i tanti dipinti e le tante storie, una che mi era entrata dentro più delle altre era quella del Cutty Sark, un tre-alberi varato in Gran Bretagna nel 1869 per il trasporto veloce del tè e dell’oppio tra l’Europa e la Cina. La storia è bella: questo tipo di navi si chiamava “clipper”, ed erano state pensate per avere massima velocità (quindi tante vele) con cui portare carichi relativamente leggeri. Valeva quindi la pena di trasportare beni ad alto valore, come il tè comprato dai cinesi in cambio prima di argento e poi, quando le riserve di Pechino stavano prosciugando i tesori europei (e le colonie americane, da cui proveniva la gran parte dell’argento), di oppio. Una storia che si ripete anche oggi e che all’epoca è finita con un paio di guerre, tanto dolore e stridor di denti.

Il Cutty Sark nell’anonimo dipinto (nel senso che non mi ricordo chi lo fece) del mio vecchio libro era impetuoso, cavalcava le onde, riusciva a trovare la strada con la pura forza della sua volontà, per parafrasarne il motto (“Where there’s a will is a way”). Il nome “Cutty Sark” ha una storia singolare: derivava da un’espressione scozzese per “gonna scorciata”, ed era riferito al poema “Tam O’Shanter” di Robert Burns, un poeta settecentesco scozzese dai toni fortemente romantici e che ad oggi a Edimburgo e a Glasgow viene considerato l’aedo nazionale.

Il “Tam O’Shanter” è la storia in versi di un contadino ubriaco che, sulla via di casa, incappa in una conventicola di streghe che stanno celebrando il loro sabba. Seminude e arrabbiate per essere state scoperte quando lui esclama “Weel done, cutty-sark!” (“Complimenti, vestitino-corto!”), lo inseguono sino a un fiume, traversato il quale Tam “lo sfortunello” è in salvo. La più incazzosa tra le streghe è Nannie Dee, quella con il vestitino corto di lino, che secondo me doveva essere un mezzo fazzoletto drappeggiato un po’ alla bell’e meglio sui fianchi di una streghetta particolarmente avvenente per non dire proprio gnocca, ma che secondo i critici era inteso dal poeta come la sottoveste da bambina di Nannie che poi, crescendo, poteva sembrare scorciata in modo fedifrago e contribuiva alla mise un po’ da flapper della svelta creatura soprannaturale.

La bella Nannie e le sue amiche non gliela fanno ad acchiappare Tam, insomma, ma lo spavento del contadino è tanto, anche perché Nannie riesce quasi a brancarlo, attaccandosi alla coda della cavalla Meg. E l’immagine di uno che passa al galoppo nella campagna scozzese con una strega attaccata alla coda della cavalla è divertente oltre che assai cinetica: per gli scozzesi è l’equivalente di quando da noi si dice “l’ho visto passare correndo come se avesse avuto il diavolo alle calcagna” e secondo me è molto più intrigante (sempre per il vestitino corto di cui sopra).

Ve l'avevo detto che era anche un po' gnocca, la piccola Nannie, no?

Così, quando si trattò di varare l’ennesima delle navi veloci meglio conosciute come “clipper” (nel gergo anglo-americano del Settecento “to clip” voleva dire passare veloce, quindi “clipper” è qualcosa o qualcuno di veloce, come un cavallo o una nave), quale migliore nome di “Cutty Sark”, cioè l’esclamazione con cui quel tontolone di Tam richiama l’attenzione su se stesso mentre spia le streghe nascosto in un cespuglio? Per celebrare l’occasione un certo Robert Hellyer realizzò la polena della nave: una donna lignea a figura quasi intera e a seno scoperto, dipinta di bianco, che tiene stretto in mano un ciuffo di crine nero della povera cavalla Meg. Una dinamica poesia, molto futurista.

Il Cutty Sark (in inglese al femminile, come tutte le navi) è uno dei più famosi clipper britannici. L’idea non era solo commerciale, ma aveva una vasta eco anche sui giornali perché c’era un fatto sportivo: andare veloci su quelle rotte, percorrere la distanza tra Pechino e Londra, o tra San Francisco, era il pane per gli allibratori e ragione di un certo orgoglio e notorietà.

L’idea era che il Cutty Sark, con quel nome, sarebbe stata la nave più veloce della sua epoca, la più difficile da acchiappare. Il problema del Cutty Sark, però, che era con il clipper Thermopylae effettivamente il mezzo navale più veloce dell’epoca, era il taglio dei grandi canali come quello di Panama (per cui passare da New York a San Francisco non richiedeva più di fare il giro dell’America del Sud o di andare a morire al freddo cercando il Passaggio a nordovest, che il riscaldamento globale ha appena spalancato) e soprattutto l’imminente avvento delle navi a vapore. Insomma, il buon Cutty Sark nasceva già vecchio: il migliore era anche quello che stavano mettendo a riposo ma senza nessuna pensione anticipata. Una specie di esodato marittimo.

Per essere veloce, comunque, era proprio veloce. Nel 1873, ad esempio, il ritorno dalla Cina alla Gran Bretagna richiese al Cutty Sark 117 giorni di navigazione: venne battuto di misura dal Thermopylae che ce ne mise 103, ma tutti e due si fecero fregare di brutto dalla nave a vapore Hallowe’en che ce ne mise 90: non solo era più veloce, ma lo era tutti i giorni e con qualsiasi condizione di vento. Quando si dice le magnifiche e progressive sorti. La tecnologia del vapore andava più veloce del buon Tam, della cavalla Meg e della streghetta Nellie. Inutile fu anche il record di 73 giorni tra Londra e Sydney, perché l’epoca del té, dell’oppio e di qualche passeggero super-vip che voleva arrivare molto rapidamente (e in modo assai scomodo) dall’altra parte del mondo stava rapidamente finendo. Da lì a breve sarebbero arrivati i bastimenti, i panfili, i transatlantici: tutto un sistema diverso di viaggiare sull’acqua. L’idea di velocità si sarebbe trasformata dal clipper al Nastro azzurro, che non è solo la birra ma anche il Blue Ribbon delle navi passeggeri che facevano la traversata atlantica senza scalo.

Il clipper in generale e il Cutty Sark in particolare rimasero così, sospesi come ponti sull’immaginario collettivo, ponti che collegano due sponde su di un precipizio cognitivo. Una situazione apparentemente inconsueta e scomoda, soprattutto per noi che guardiamo dal nostro instabile e magmatico presente al passato come una cosa statica e consolidata, “classica”. L’instabilità, la liquidità era però la cifra della seconda metà dell’Ottocento e si è ripetuta pochi decenni dopo, quando è arrivato un’altra famiglia di clipper, molto più piccola ma sicuramente altrettanto affascinante.

Più che un aeroporto sembra l'Idroscalo. E infatti...

Erano ventidue anni fa quando chiuse definitivamente i battenti la Pan American World Airways. Ho raccontato qui la loro storia: la compagnia aerea e il suo geniale creatore, Juan Trippe, nato trent’anni dopo il Cutty Sark, nel 1899, e capace di costruire dal niente (con l’aiuto dello Zio Sam però) uno straordinario appartato di trasporto. Trippe aveva capito che, come le navi a vapore avevano ammazzato i velieri, così gli aerei avrebbero ammazzato a breve le navi a vapore (che infatti diventarono pigri scafi da crociera, non più veloci bastimenti per il traffico di persone e merci sugli oceani). E lui voleva essere la pallottola sparata fuori dal fucile della modernità. Una specie di Jeff Bezos dei suoi tempi, uno che ci aveva visto lungo e aveva capito che in un mondo che cambia il futuro sarebbero stati i movimenti rapidi delle persone e dei messaggi: posta e passeggeri attraverso l’oceano.

Con grinta ragguardevole Trippe aveva tessuto una rete di relazioni con il Sudamerica e traversato poco dopo Charles Lindenbergh (suo dipendente) l’oceano Atlantico in prima persona, visto che era anche pilota, per cercare scali e approdi: l’obiettivo era costruire rotte per volti panamericani e transatlantici disegnando i primi segni su cartine vergini al volo e allestendo basi in località esotiche che sarebbero entrate nella mappa mentale degli americani proprio grazie a Trippe. La Pan Am non aveva le licenze per i voli interni negli Stati Uniti, cioè transcontinentali, e quindi era condannata a sviluppare una rete la più grande possibile di trasporti in tutto il globo.

La saga della Pan Am dura dal 1927 sino al 1991, ma c’è un momento particolare che è secondo me è straordinario. È una parte relativamente piccola, dal 1931 sino al 1942, poco più di dieci anni, in cui Pan Am è sostanzialmente da sola, l’unica capace di far volare i suoi aerei dove nessun altro riesce, da un continente all’altro attraverso gli oceani, ed ha aerei che nessun altro possiede.

Questa è non a caso la nuova era dei clipper: da quel momento il nome che Trippe darà a tutti i suoi velivoli è quello. Ma i “veri” clipper, i giganteschi idrovolanti che sono in realtà delle navi dei cieli, flying boats come si dice in inglese, più che degli aerei di linea, sono solo quelli usati questi per dieci anni. Li rende unici proprio questo: il sapore di due epoche che per un breve momento si sovrappongono. Li vediamo tra una settimana in questa nuova puntata e poi nella degna conclusione.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio