Stalin e il secondo schermo

Non so se vi sia mai capitato di leggere un articolo sul cosiddetto “second screen”. Forse no, si tratta in effetti di un tema un po’ per addetti ai lavori, futuristi ed ufologi e riguarda sostanzialmente le intersezioni, in corso e prossime venture, fra televisione e social network. Come avviene sempre – e dico sempre – in simili nuovi scenari immaginifici, la presunzione che il soggetto forte modelli quello debole sono tanto scontate quanto automatiche. E poiché è piuttosto evidente che attualmente il soggetto forte è la TV la sola declinazione per il futuro del second screen di cui vi capiterà di leggere in giro è quella, ovvia e un po’ scontata, nella quale addetti ai lavori, futuristi ed ufologi prevedono un ruolo ancillare dei social network nei confronti dei contenuti televisivi.

Di quante divisioni dispone il Papa? La celebre frase di Stalin può essere utile a orientarci meglio. L’industria televisiva è oggi un business planetario e ricchissimo. Come è ovvio nel tempo dentro le televisioni si sono andati stratificando oltre al potere economico crescente dei gestori delle antenne anche quello politico e finanziario. Non deve meravigliare quindi se, nel momento in cui televisione e Internet incrociano le spade, Iosif Vissarionovič Džugašvili (erano anni che desideravo scrivere il nome di Stalin per intero con tutti gli accenti giusti) viene a raccontarci che il business del prossimo futuro è quello del telespettatore da divano che twitta Amici di Maria De Filippi.

A questo punto occorre far caso ai piccoli particolari: perché è vero che il futuro ci porterà a twittare Maria De Filippi ma è altrettanto vero che sarà Maria de Filippi a diventare il nostro secondo schermo, mentre il primo, sempre più stabilmente, sarà quello delle nostre relazioni sociali. Tutto questo accadrà non per una cieca fede nella nostra attitudine di esseri umani empatici rispetto al solitario poltronismo televisivo (non sono tanto ottimista) ma per il semplice fatto che Internet è il luogo delle relazioni e la TV – per il numero non gigantesco ma in aumento di quanto utilizzano la rete stabilmente – ne diventa un accessorio fra i tanti. Per tutti gli altri (e quindi per un numero rilevante di Italiani) semplicemente per ora il problema non si pone.

Mio dio mi pento e mi dolgo: nelle ultime settimane ho twittato molto mentre guardavo la TV. Ma non sono diventato per questo uno spettatore della TV, non sono andato ad ingrossare le divisioni di Stalin. Ho commentato su Twitter il Festival di Sanremo, molti talk show di politica, dirette di candidati alle primarie o alle prossime elezioni, spesso trasmesse dai luoghi più disparati. Mesi fa ho commentato su Friendfeed un esilarante comizio della Polverini che urlando storpiava una canzone di Battisti. Cose che mi interessavano insomma. Altre cose che mi inorridivano. E ve lo dico: è divertente. Ve lo consiglio (twittate Maria de Filippi se vi piace Maria de Filippi) anche se twitter non è la piattaforma tecnologica più adatta ad un simile metaracconto. Ma il punto è che non guarderei mai Ballarò senza avere accanto Twitter. Cioè Ballarò? Avete presente? Perché mai qualcuno dovrebbe guardarlo da solo?

Così agli addetti ai lavori, futuristi ed ufologi che oggi ci raccontano le magie del second screen ripeto una banalità che vado dicendo da tempo del tutto inascoltato: non buttate i vostri soldi cercando di mettere Twitter dentro le vostre TV, perché è più facile che accada il contrario. E voi – ci scommetto – non sarete d’accordo.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020