Senza partito preso

Si dice sempre ed è sempre vero: questa è stata una delle campagne elettorali più brutte e più povere. Le campagne elettorali sono ormai da tempo una sorta di format fisso, con le loro tecniche di riempimento di spazio dei giornali, dei tempi in televisioni, con le prese di distanza, la restrizione del dibattito a meccanica ira di Dio, le poste in gioco al minimo e le parole al massimo.

Sì, lo so, bisogna attaccare qualcuno, anche del proprio partito; bisogna radicalizzare (che vuoi, siamo in campagna elettorale); poi c’è la tecnica in voga da sempre e ormai sempre più perfezionata del promettere qualcosa che non esiste e quindi non va neppure ben spiegato (ma la Padania che fine ha fatto?) e attaccare quello che esiste; vanno mobilitati i propri e scatenate tutte le appartenenze, tutte le questioni di principio, tutte le frustrazioni che certo non ci mancano. Poi è necessario personalizzare lo scontro e attaccare i personalismi, ovviamente tutto insieme, sospendere il principio aristotelico di non contraddizione, fare la lista dei buoni e dei cattivi, gridare allo scandalo, costringere chi ascolta a parteggiare, a negare le evidenze, ad avere antipatie o simpatie assolute: è un misto di Game of thrones e di rivoluzione francese (come la intendono i Wu Ming nel loro ultimo libro), io aggiungerei anche un po’ di Colonna infame e il clima storico-pop-letterario mi parrebbe completo.

Ma in tutto questo non c’è posto per chi non abbia un partito preso, cioè per chi magari sa già per chi votare o sa già per chi non votare (nel senso che si astiene non per fellonia civile, ma per un sacco di motivi suoi), e però vorrebbe sentire un dibattito che gli spieghi qualcosa, che lo faccia crescere, vorrebbe afferrare qualche concetto che questa volta non gli farà cambiare crocetta, ma che gli semini qualche idea nuova. Ci sono i votanti, ci sono quelli che non votano, ma nessuno pensa ai senza partito preso.

Non sappiamo nulla di quei grandi progetti strategici europei a medio e lungo termine (per esempio nella ricerca e nelle infrastrutture) di cui si legge in qualche trafiletto; non sappiamo neppure bene come funzionino le istituzioni europee; non c’è chi racconti cosa c’è in gioco nella diversità europea, senza agiografie e senza revanscismi da filmetto; nessuno che osi neppure più proporre il tema della cultura europea.

Per tutto questo non c’è spazio, perché la comunicazione politica e mediatica ha da tempo considerato queste esigenze troppo onerose e poco efficaci nello stimolare il voto.

Allora io faccio una proposta. La prossima volta la campagna elettorale la facciamo dopo. Prima votiamo, così, zitti zitti, e poi facciamo la campagna elettorale. A partiti già presi, ma senza partito preso.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.