Se c’è un aldilà sono fottuto

A Claudio Caligari del cinema inteso come sistema, come microcosmo, non importava assolutamente nulla. Marco Risi, che ha prodotto L’odore della notte, è abbastanza chiaro su questo: Caligari non era uno di quelli che fanno i furbi e che giocano con le parole; Caligari voleva quello che chiedeva, e voleva fare i film così come li aveva immaginati. Per questo, per anni, non ne ha chiuso nemmeno uno. Il sistema, l’industria, si è compattata attorno a lui, contro questo regista che mostrava ciò che non si doveva mostrare (“pornografia”, dicevano i critici), e dopo il successo di Amore tossico – potrai fare qualunque cosa, gli ripetevano; qualunque cosa tu voglia – gli ci sono voluti 15 anni per girare il suo secondo film. Pochi di più, poi, per girare Non essere cattivo.

Caligari ha vissuto solo, isolato, ha vissuto abbracciando un’idea di cinema totale e completa, che l’ha allontanato dagli altri e che, in un certo senso, l’ha condannato. Perché Caligari era diverso, non cercava compromessi, non voleva raccontare storie che non fossero le sue storie. Era sincero, diretto, terribilmente vero; vedeva la realtà per quella che era, non voleva romanzarla, non voleva mediarla. Gli aghi nelle vene, gli sguardi stralunati, gli attori che dovevano essere veri, presenti al momento, e a cui chiedeva: tu questa battuta come la diresti?

L’ha fatto con Amore tossico e con L’odore della notte; sul set di Non essere cattivo si
lasciò affiancare da Mastandrea, che lo guidava, e che parlava per lui e con cui si confrontava costantemente. In Se c’è un aldilà sono fottuto, il documentario di Fausto
Trombetta e Simone Isola, i loro continui scambi, le loro occhiate, le parole gracchiate di Caligari sono una parte fondamentale. Poi c’è tutto il resto, ed è il mondo del regista, i suoi riferimenti, la sua voglia di fare cinema, non di farne parte; i suoi inizi come piccolo documentarista degli scioperi e delle manifestazioni studentesche, la passione nata da bambino, guardando Ben-Hur, e le decine e decine di copioni scritti e riscritti, proposti e rifiutati, e quell’ostinazione magica, senza via d’uscita, che lo guidava come la Stella polare.
La sua maledizione e, allo stesso tempo, salvezza.

In Se c’è un aldilà sono fottuto, parlano gli attori di ieri, gli esordienti di Amore tossico,
i talenti de L’odore della notte e gli attori di oggi, quelli di Non essere cattivo. Parlano
Alessandro Borghi e Luca Marinelli, parlano gli sceneggiatori, Francesca Serafini e Giordano Meacci; parlano Silvia D’Amico e Roberta Mattei. E parlano gli addetti ai lavori, l’aiuto-regia, Mastandrea, il montatore, chi lo conosceva. Viene mostrato il mondo di Caligari: un mondo fatto di sprazzi di luce e di tanti no.

Marco Giallini, che era ne L’odore della notte insieme a Mastandrea e a Giorgio Tirabassi, dice una cosa fondamentale: tutti l’apprezzavano, Claudio; tutti dicevano quanto fosse bravo, anche quando era in vita; e nessuno però gli lasciava fare un film. Alcune scene del documentario, pieno di interviste, video di repertorio e vecchi contributi, sono costruite a regola, e la finzione viene unità alla realtà; Borghi e la Mattei che rifanno una scena guardando in camera, lontani chilometri e chilometri. Oppure Mastandrea che recita la lettera a Martin Scorsese, per chiedere il suo aiuto per girare Non essere cattivo, o che chiude il documentario, con uno straordinario monologo. (“Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”, “se c’è un aldilà sono fottuto”, “no, se c’è pellicola non sei fottuto per niente”).

Caligari era un uomo serio, convinto, era un uomo difficile a modo suo, con una sua visione totalizzante di cinema e di film (all’inizio della sua carriera, gli veniva contrapposto Pasolini, per un altro tipo di racconto e di rappresentazione degli ultimi, a lui che ne era un grandissimo conoscitore e appassionato). Caligari era timido, introverso, capace di centellinare le parole, di usarle intelligentemente, con cura, pesandole. Era capace di un’ira istantanea, terribile, sconvolgente; e allo stesso tempo, come ricordano i suoi attori, era ammantato da un carisma e da una potenza incredibili, anche gli ultimi giorni, anche mentre stava morendo.

Di Claudio Caligari, oggi, restano tre film, infiniti copioni, e un ricordo indelebile e potente, che si tramanda di attore in attore, di esperienza in esperienza, con Mastandrea che gli è stato sempre vicino, prima come interprete, poi come amico, confidente, aiuto e produttore. La secchezza di Caligari, la sua straordinaria capacità di ricreare mondi, fotografandoli, abbandonandosi a quel neorealismo di cui era profondo cultore, sono intagli profondi nel legno della storia del grande schermo, che forse sbiadiranno, forse perderanno di compostezza e forma, ma che rimarranno. Perché Caligari era un maestro, e perché Caligari era, con tutto sé stesso, il cinema.

Gianmaria Tammaro

Napoletano convinto dal '91. Scrive di cinema, serie tv e fumetti. Gli piace Bill Murray. Il suo film preferito è Ricomincio da tre.