Questa però sì

Con la testa lo so, che è troppo facile leggere le cose scritte da certi grandi del passato come se fossero state pensate per una situazione attuale, che la storia del ciclico ripetersi è una mezza scemenza, che ogni caso è un caso a sé, che le contingenze sono sempre diverse, e che se uno si lascia prendere dal fascino dei corsi e ricorsi qualunque testo diventa Nostradamus e gli puoi fare dire quello che ti pare. Però, quando grazie a un caro amico abbastanza colto e intelligente da fregarsene di tutte le prescrizioni di cui sopra, ho letto le righe di Brancati che adesso trascrivo ci sono rimasto come il cretino che sono.

E poi ho pensato che Brancati qualcuno l’ha condannato a essere un minore, o nel migliore dei casi uno da liquidare come datato. Invece per esempio c’è questo Diario romano (uscito per Bompiani nel 1994 e purtroppo fuori catalogo) che serve proprio a capire che anche se tutte quelle prudenze che ho provato a semplificare in apertura restano valide, l’amico mio ha ragione. Nel senso che è falso come per tutti gli altri dire che Brancati “ci vedeva lungo”. Brancati era uno che si guardava molto dentro. Ci vedeva solo profondo:

I comunisti e i qualunquisti hanno aperto sui loro giornali una conversazione cordiale. I comunisti hanno adoperato il moralismo soltanto come un’arma di lotta. Finché gli è servito a fini pratici, essi hanno individuato il male nel qualunquismo e ne hanno avuto orrore. L’aggettivo qualunquista veniva usato dai critici dell’Unità al posto degli aggettivi brutto e cattivo […] D’un tratto nell’Unità, Togliatti passa dal moralismo al machiavellismo […] e dichiara che si può discutere con Giannini e studiare con lui i punti di probabile accordo. Si è iniziata così la discussione tra l’Unità e il Buonsenso assistendo alla quale gli ultimi mazziniani d’Italia fanno la figura delle zie provinciali confinate in un angolo della sala mentre i loro nipoti ballano il più moderno e sfacciato dei balli. Ma io sono per queste nobili zie, infinitamente più giovani dei loro nipoti.

Brancati prima di scrivere articoli come questo si dava sempre una controllata davanti allo specchio, perciò oltre a sapere cosa stava succedendo in Italia sapeva anche un sacco di cose su se stesso: sapeva di essere un passionale, e quindi stava attento a ragionare sopra le cose. Sapeva di essere stato un fascista, e quindi stava attento a non lasciarsi più irretire da niente e nessuno (diceva che la società chiede agli intellettuali di essere asociali, cioè di stare alla larga dai coinvolgimenti, di rimanere abbastanza distanti da poter osservare: l’opposto della militanza che di lì a poco parecchi suoi colleghi avrebbero intrapreso).

Quando scrisse quel paragrafo era il 1947, e lui viveva a Roma. Si era sposato con Anna Proclemer, e si era allontanato dalla Sicilia, forse proprio per vederla meglio. Pubblicava sul Corriere o su Epoca articoli in cui si esercitava con scrupolo nell’arte più difficile per un italiano: quella di controllarsi lui prima di controllare gli altri. Quando diceva che il tipo più comune nella penisola era il fanatico, Brancati sapeva quanto la cosa lo riguardasse. L’italiano (lui diceva il siciliano) si ammala di se stesso: riesce a essere contemporaneamente la febbre e il febbricitante, la sofferenza e la cosa che fa soffrire. E non è che si guarisca mai da sé stessi. Però si può convivere con la malattia, riconoscerla, lenirla, curarla. Forse è per questo che in uno di questi articoli Brancati se la prende un po’ con quegli italiani che la malattia non se la curano per niente e anzi, in virtù della loro purezza, pretendono di fare l’ errata-corrige al mondo, senza sapere che la Tolleranza è una virtù ammirevole, tranne nei casi in cui tollera l’ Intolleranza.

La vista lunga che quel paragrafo (o questa frase) sembrano suggerire è in realtà una vista cortissima: Brancati sta guardando solo quello che gli capita sotto al naso, qualunquisti e comunisti, roba fresca di giornata, effimera. Però la guarda in profondità, è concentrato, in allerta.

La prefazione all’opera omnia di Brancati la scrisse Leonardo Sciascia. Si intitola Del dormire con un occhio solo, una cosa che Brancati diceva di se stesso: La notte dormo con un occhio solo, come il custode della casa già visitata dai ladri.

Questa frase, se uno non ci sta attento può scambiarla per la variazione di un vecchio adagio siciliano: “Sant’Agata prima se la rubarono e poi gli fecero le porte di ferro”. Come a dire rimedi tardivi, inutili. La casa è già stata visitata dai ladri: dormi, tanto ormai il danno è fatto. Invece la frase di Brancati è una frase bellissima perché pace non te ne dà. Non importa se hai perso tutto, perché l’essenziale non è che Sant’Agata se la sono rubata, ma che tu devi imparare a rimanere sempre sveglio. Non puoi prevedere se e quando torneranno i ladri, però puoi farti trovare pronto. Perché del resto puoi pure fare le porte di ferro, ma le contromisure definitive non esistono. Le cose capitano e ricapitano in continuazione, e anche conoscendole (e conoscendosi) non si possono prevenire. Si può solo lavorare su di sé. Dormire con un occhio solo.

brancatiantonia

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com