Quelli che cambiano le cose

Ma la cosa più importante che confermano questi risultati – in molti lo sapevamo già, altri continuano a negarlo – è che vincono gli uomini. Che le formule “non contano gli uomini, contano i programmi”, o “prima i contenuti e poi i nomi” sono cliché miopi o ipocriti: di un’ipocrisia spaventata dal dire una cosa che è normalissima e nota, che ci sono persone capaci di farsi votare più di altre, sulla base delle loro idee – loro, non di un partito – e della bravura nel comunicarle. E questo vale soprattutto nel centrosinistra. I suoi risultati sono stati buoni ma molto vari. A Torino ha vinto un vecchio e stimato leader del PCI fedele al PD, ereditando anche i successi di un altro leader del PD, più indipendente. A Milano ha vinto un uomo di Rifondazione e poi di SeL, che viene dalla buona borghesia milanese e ha posizioni molto garantiste sulla giustizia. A Napoli ha vinto – parliamo sempre del centrosinistra – un uomo del fronte giustizialista con grande e spiccia capacità di comunicare se stesso. A Bologna ha vinto un sobrio uomo di partito di bassissima visibilità nazionale raccogliendo le frustrazioni per gli eccessivi personalismi che lo avevano preceduto.

In tutti questi casi è stata vincente o fallimentare da parte dei partiti del centrosinistra la scelta dei candidati, e chi ha ottenuto successi li ha ottenuti per quello che era, non solo per aver dietro questo o quel partito, o davanti questo o quel “progetto”: di progetti ce ne sono montagne, a sinistra. Si vince con i candidati che funzionano: che possono essere diversi in contesti diversi: un uomo di non grande carisma e visione ma quadrato come Bersani può funzionare in un tempo stanco di eccessi, oppure quei tempi possono invece avere bisogno di modelli più potenti, ispiratori, capaci di recuperare passioni. Quello che è certo è che gli uomini – e le donne, magari – contano e che quelli bravi sono rari: poi decidiamo e discutiamo quali siano, ma smettiamo di dirci che “prima i programmi” (salvo poi rimpiangere chi Prodi, chi Veltroni, chi persino D’Alema). Siamo pieni di programmi. Idee ne abbiamo a pacchi, da anni. Troviamo chi le sappia far vincere.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).