Ora Letta dovrebbe correre

Il rinvio della cancellazione della seconda rata dell’Imu. Uno scontro acceso e sorprendente sulla legge per i nuovi stadi, con il governo spaccato in due come una mela. Una legge di stabilità ancora irrisolta, criticata in Europa e comunque priva di misure forti, caratterizzanti, di impatto. Buchi neri su due temi sui quali erano stati assunti impegni solenni: il finanziamento pubblico dei partiti e la riforma elettorale. Un’agenda sulla giustizia forse compromessa dalle vicissitudini del ministro Cancellieri.
Nessuno di questi intoppi per Letta è di per sé irrisolvibile o tanto grave da indurre al pessimismo. Messi insieme però restituiscono l’immagine di un governo che procede a fatica. E per quanto fatica e lentezza siano perfettamente comprensibili in una situazione così difficile, eppure sono esattamente ciò che Enrico Letta non può permettersi.
La clausola neanche tanto implicita contenuta nell’operazione di spaccatura del Pdl (cioè nel vero capolavoro politico fin qui realizzato dal premier) era che, liberatisi della zavorra berlusconiana, i ministri di Letta e Alfano avrebbero cambiato passo, trovando maggiore solidarietà interna e coraggio nella definizione delle politiche.
Può darsi che sia presto per dare un giudizio definitivo, oltre tutto Forza Italia non è ancora uscita dalla maggioranza (e chissà se poi lo farà veramente). Sta di fatto che in questi primi giorni dopo la rottura il Ncd ha continuato a muoversi nel governo e fuori esattamente come faceva prima. E si capisce anche perché: prima gli alfaniani dovevano portare risultati a Berlusconi; ora non possono esporsi alla critica di subalternità alla sinistra da parte dei fratelli separati.
Se dovesse continuare così, il disagio dell’intero Partito democratico nei confronti del governo delle piccole intese non potrebbe che crescere.
Con onestà intellettuale, Letta ha più volte dichiarato di voler rimanere a palazzo Chigi solo per la bontà delle proprie realizzazioni e non per la mancanza di alternative o per il vincolo dell’assenza di una legge elettorale utilizzabile. Può darsi che prima di Natale o al massimo entro gennaio questo impedimento venga in qualche modo rimosso dalla Corte costituzionale. Dunque il presidente del consiglio non ha molto tempo davanti a sé per dimostrare che vale la pena di continuare a sostenerlo per merito, e non per necessità.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.