Ma chi è che scappa?

A quelli che continuano a scrivere in questi giorni post-elettorali – anche sui giornali – la tiritera che chi va all’estero scappa e non contribuisce allo sviluppo del proprio paese, che «non si cambia paese, ma si cambia il paese», che chi va non ha coraggio e invece chi resta è un eroe del cambiamento, vorrei dire, prima che questa fesseria diventi un luogo comune del dibattito del bar virtuale (che però poi diventa realissimo), di riflettere anche un po’ su che cosa voglia dire contribuire allo sviluppo del proprio paese oggi.

Se io per esempio non fossi andato all’estero – con fior di sbattimento e di concorsi, beninteso – non avrei scritto i miei ultimi libri (scritti in lingua italiana, come sarà sempre, per ogni prima edizione di un mio lavoro), non scriverei per il supplemento culturale di un grande quotidiano nazionale (cioè non scriverei di ricerca e di libri agli italiani, e spesso di autori italiani giovani, cioè senza badare alle reciprocità accademiche), non scriverei per Il Post e i suoi millantamila lettori italiani (e quanti lettori italiani all’estero ha peraltro Il Post, che quindi contribuiscono al suo successo?), non potrei rispondere ai tanti colleghi e lettori italiani piú giovani di me (e pure a qualcuno più vecchio).

Questo è il mio mestiere. Ma non avrei potuto. Moltiplicate questo per decine di migliaia di storie diversissime, di mestieri e di fatiche differenti, e riflettiamo insieme se non è un contributo all’Italia questo nostro cercare di capire l’Italia e di far capire all’Italia – nostro di noi tutti che viviamo come possiamo le nostre vite. Non saremo dei Jack Kennedy, ma non siamo neanche gli ultimi degli stronzi. Vuol dire che chi non si muove da dove è nato non dà contributi? No. Vuol dire che non torneremo più dove siamo nati? No (ma anche se fosse?). Siamo tutti lavoratori, fuori o dentro l’Italia. Sarebbe utile superare questa retorica del restare (ma restare dove?) e dell’andarsene (ma la vita è un lungo fiume tranquillo, con certe rapide che forse se potessimo ci eviteremmo). Siamo tutti più o meno interessati ai cambiamenti e produciamo cambiamento, con motivazioni e aspirazioni diversissime. Cerchiamo di riflettere sui fenomeni e sulle aperture senza creare un altro divide, un altro luogo comune, un altro inutile rumore di fondo.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.