Lucraina

Ci siamo andati. Abbiamo strappato una Coppa Davis nel Cile di Pinochet, un quarto posto calcistico nell’Argentina di Videla e abbiamo saltato le Olimpiadi di Mosca per ragioni affatto slegate ai diritti civili. E uno dice: che c’entra, sono episodi datati, si può sempre migliorare. Bene, allora limitiamoci a ricordare che siamo andati alle Olimpiadi cinesi poco più di tre anni fa, ci siamo andati, già.

Ora pare che l’ex premier Yulia Tymoshenko sia stata percossa nella stessa Ucraina a cui l’Uefa – nel 2007, non cent’anni fa – ha assegnato gli Europei di calcio: e c’era da porsi ufficialmente un problema imbarazzante, non da risolverlo, soltanto da porselo formalmente. È stato posto, dopodiché è rientrato in un nanosecondo. La Uefa ha detto: si gioca comunque. Chi l’avrebbe mai detto: forse noi, che siamo stati in Cina.

In Ucraina il governo sta facendo sparire migliaia di cani randagi per ripulire il panorama: in Cina lo fecero con gli uomini. Ci siamo andati – tutti, non solo l’Italia – anche se le solite organizzazioni umanitarie non avevano mai smesso di documentare come la Cina fosse venuta meno a ogni promessa e avesse tradito qualsiasi spirito olimpico. Lasciamo perdere il Tibet, sul quale si discute ormai solo per stabilire l’esatto numero dei morti: tutti i rapporti hanno testimoniato come siano peggiorate, nell’ordine, la persecuzione degli attivisti per i diritti umani, la detenzione senza processo, la censura e, nondimeno, l’applicazione della pena di morte. Le autorità cinesi hanno imprigionato chiunque potesse minacciare l’immagine di stabilità e armonia che la loro efficientissima organizzazione ha cercato di presentare. Non si sono contate le persecuzioni a giornalisti e attivisti, mentre diversi scrittori sono stati condannati per «incitamento alla sovversione» perché avevano rilasciato delle interviste alla stampa estera. Sono state estese, prima e durante il periodo olimpico, alcune forme di detenzione amministrativa come la «rieducazione attraverso il lavoro» e una generica «riabilitazione forzata dalla droga».

Il Circolo della stampa estera ha segnalato 260 casi di interferenze delle autorità, mentre va da sé che ai giornalisti cinesi sia stato impedito, come sempre, di scrivere su argomenti giudicati sensibili. La pena di morte era e resta prevista per 68 reati (anche se le autorità negano) e in ogni caso annovera più esecuzioni che in tutte le altre nazioni del mondo messe insieme, ma i dati sono imprecisi perchè in Cina sono considerati segreto di Stato. Il resto è per così dire noto: gli organi espiantati e rivenduti senza il consenso dei familiari, le torture, i religiosi ammazzati, i dissidenti imbottiti di psicofarmaci, insomma tutte le specialità non olimpiche che sono continuate come sempre. Assieme agli atleti tornò a casa anche la velleità di volerci propinare la spettacolare cazzata secondo la quale sviluppo e democrazia camminerebbero a braccetto: non è vero, non lo è mai stato, dal nazismo in poi, da Berlino 1936 a Pechino 2008.

L’elenco degli ipocriti che ora si sbracciano per la Tymoshenko – e che allora tacquero, o dissero sciocchezze minimizzanti – per una volta lo saltiamo: tanto ci sono dentro tutti, soprattutto politici ex governativi che in questo periodo hanno poco da fare. E spiace dirlo, ma un personaggio a cui non si può dir nulla invece è proprio Angela Merkel, forse la più importante personalità che ha posto il problema dello stato di diritto in Ucraina: anche in passato dimostrò una sensibilità sconosciuta a certi pigmei del nostro Paese, al punto che ricevette in pompa maga il Dalai Lama fregandose degli strepiti altezzosi e delle minacce di ritorsioni di Pechino; e la Germania, ricordiamo, è il primo paese europeo per interscambio ed export e investimenti verso la Cina. Da noi ogni proposta di non presenziare per esempio alla cerimonia d’apertura di Pechino 2008 (sollecitata, tra altri, dal responsabile esteri di An Marco Zacchera e dal ministro Giorgia Meloni) fu respinta dal ministro Franco Frattini con la molle arroganza tipica sua. Del resto Frattini, a fronte delle minacce di ritorsioni economiche per tutti i paesi che avessero incontrato il Dalai Lama, fu l’unico a darsene preoccupazione.

Agitarsi per la Tymoshenko è praticamente gratis. I membri del governo austriaco hanno detto che non saranno presenti agli Europei: ma l’Austria non si è neppure qualificata per il torneo. Sigmar Gabriel, il capo dell’Spd tedesca, si è messo a fare baccano sulla Tymoshenko ma definì Vladimir Putin «un democratico trasparente» e non ha mai aperto bocca nel caso di Mikhail Khodorkovsky, l’ex oligarca spedito nel gulag. I politici tedeschi e italiani – quest’ultimi, ripeto, neppure li citiamo – fanno solo fumo: che la Tymoshenko sia detenuta lo sanno tutti da un pezzo. La Siemens e altre aziende tedesche ottennero i mandati per la preparazione delle strutture sportive – come fecero anche a Pechino – e nessuno disse una parola, e del resto sarebbe stato come pretendere che a Pechino il boicottaggio fosse promosso da Coca Cola, Kodak, Visa, Samsung, Swatch, Panasonic e gli altri sponsor dell’epoca. Andò come andò. Non esportammo la democrazia, ma la Cina importò noi, lasciando fuori dalla porta i nostri stupidi bagagli occidentali, il nostro ciarpame democratico rimediato dopo un paio di rivoluzioni in Francia e in America.

Non boicottammo le Olimpiadi, e questo nonostante il sommovimento fosse mondiale: certo, c’era la stridente pretesa che maratoneti e nuotatori affrontassero moralmente ciò che un organismo come l’Onu aveva sempre disertato politicamente, ma restò un’occasione persa. Per la prima volta nella Storia, forse, l’idea di boicottare una manifestazione sportiva sarebbe apparsa ecumenica, normale, per niente estremista, uno strumento formidabile per propagandare la democrazia e i diritti umani (non vendibili separatamente) come forche caudine non solo di un presunto progresso umano, ma anche di ogni futuribile import-export. Non era e non sarebbe stata una campagna mirante in particolare a dividere, come piace dalle nostre parti: solo a ridurre il danno, unendo laici e cattolici, destra e sinistra, idealisti e importatori tessili. E invece? Invece ci sorbimmo la «Vittoria politica della Cina» (titolo di Figaro) con annesso primato del mondo economico da quando fu fatta entrare nel Wto. E siamo qui a menarcela con l’Ucraina, come se l’incarico di organizzare eventi sportivi non denotasse fiducia e rispetto sin dall’inizio, e come se l’Ucraina non l’avesse accettato proprio per quadagnarne un prestigio che otterrà comunque. L’Ucraina ha ottenuto l’organizzazione di Euro 2012 per ragioni politiche, poche storie. Figurarsi se ora gliela tolgono per ragioni politiche.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera