La storia di Avetrana

Lo sento dire da ieri, e quante volte lo sentiremo oggi e nei giorni che verranno: «Io lo sapevo che era stata Sabrina», «Io l’avevo detto subito». Come se fosse un gioco a premi, una gara a scrivere la sceneggiatura più bastarda e odiosa. È una storia vera attorno alla quale l’Italia gira ormai da più di 50 giorni, una discesa agli Inferi lenta, fatta di tanti gradini che percorriamo sempre più stupiti, sempre più increduli. La morbosità terrificante di questa storia ci è entrata dentro, ha soppiantato Cogne e Novi Ligure, Perugia e Garlasco. Alberto Stasi è un figura indefinita è lontana, e Amanda Knox, chi la ricorda più? Ora sì che abbiamo i nuovi divi. Ragazzi, è nata una stella. Abbiamo visto personaggi muoversi sempre più disinvolti davanti alle telecamere, diventare protagonisti di qualsiasi programma andasse in onda. Fino alla scelta dell’assassino di dire alla giornalista di “Chi l’ha visto?”: «Mi portano in caserma, ma voi state pure qui, a casa mia». Mai rinunciare a un ruolo di protagonista.

Ma da ieri ce n’è un’altra di protagonista ed è ancora peggio. Sabrina ha pianto, ha parlato, ha cercato. È diventata amica dei giornalisti. Forse, anzi probabilmente, io non ci avevo capito nulla. Perché dicevo e spiegavo che Sabrina andava difesa  e tutelata, che una ragazza di 22 anni che si trova un padre assassino e stupratore, necrofilo, vive una tragedia tale che noi non possiamo nemmeno immaginare. E quanto mi dava fastidio il circo di facce da esperti a Matrix e Porta e Porta a Porta a dare le loro interpretazioni su cose di cui non sanno nulla. Giocano a parole sulla vita degli altri, vanitosi sempre narcististi come non mai.

Ora non so più che dire. Forse perché sono un po’ vigliacco e non posso nemmeno concepire che l’orrore sia così profondo, che il male sia così corrosivo anche in una ragazza di 22 anni, con la faccia pacioccona di una che non è ancora cresciuta. Però.

Però a questi miei dubbi resto ostinatamente attaccato, disperatamente legato a una normalità che forse non esiste. Perché troppi mostri ho visto creare, troppe condanne ho visto pronunciare da volti sorridenti in televisione. Poi le storie erano diverse da come ce le avevano racontate. Certo, leggendo oggi i giornali che ricostruiscono questa storia tutto orribilmente torna, i sospetti coincidono con i riscontri, la storia intera assume un contorno più definito. I vecchi maestri del giornalismo dicono che la cronaca non può essere commentata. Non deve essere commentata. Hanno ragione. Forse c’è una cosa sola da fare, l’unica possibile. L’ha detto una brava giornalista: stendiamo un velo di pietà, guardiamo Avetrana con gli occhi della pietà, la pietas che tutti noi abbiamo, è l’unica scelta possibile. Senza interpretare più.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.