La fretta e la gogna

Brindisi, 21 maggio. Il ministro della Giustizia, Paola Severino rivolgendosi ai giornalisti, afferma: «Grazie per non aver pubblicato il volto dell’attentatore, grazie per non aver mostrato per intero quel video» (Ansa). Tradotto: grazie per non aver commesso un reato. E già perché non pubblicare quel video, che è un atto di indagine anche coperto dal segreto, è un obbligo di legge. Obbligo che se violato integra il reato di “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, previsto e punito dall’art. 684 del codice penale.

Quindi, un ringraziamento del Ministro che, non solo stupisce, ma che certifica anche il degrado a cui si è giunti: si è ringraziati, non per aver fatto bene il proprio lavoro, ma solo per aver rispettato la legge. Solo per non aver commesso un reato a mezzo stampa. Ma non finisce qui, perchè ciò che accadrà poco dopo sarà ben più grave della non pubblicazione del video sull’attentatore, facendo ripensare a quelle parole del Ministro come alle ultime parole famose. È sempre il 21 maggio e, passate poche ore dai ministeriali ringraziamenti, alcuni siti internet pubblicano il nome e il cognome di una persona sospettata per l’attentato di Brindisi ed anche le generalità di suo fratello. Pubblicazione illegale e incivile, come criminale è colui che ha fatto uscire il nome del sospettato dagli uffici giudiziari. Per tale inqualificabile atto, tra i tanti, si ringrazia: il sito di Gad Lerner, il sito de La 7, sussidiario.net e anche Sandro Ruotolo che ha pubblicato il nome del sospettato su Twitter.

Comunque sia, anche questa volta ogni limite è stato superato in nome del c.d. “diritto di cronaca”. La causa? La fretta che genera la gogna mediatica. Si condanna prima sui mass media e non nel processo. La fretta di avere subito una risposta: il nome del sospettato mostro su cui scagliarsi, e poco importa se poi cadranno i sospetti sul malcapitato. La regola, il diritto (che è civiltà) non contano più. Sono sospesi. La presunzione di non colpevolezza, principio costituzionale, è ignorato. Poco importa se il sospettato non è ancora indagato. L’inciviltà prevale. C’è fretta, e non si può attendere neanche quel minimo di verifica sui gravi indizi rappresentata dalla eventuale emissione della misura cautelare. Ma qualcuno forse penserà: “Sono fatti suoi! Se lo hanno chiamato in questura ci sarà un motivo”. Già, ma chiedo: e se capitasse a voi?

Riccardo Arena

Riccardo Arena cura la rubrica Radiocarcere in onda il martedì e il giovedì alle 21 su Radio Radicale.