La crisi precoce del nuovo centro

Non sono solo i numeri dei sondaggi, ancora così bassi quando siamo ormai nella lunga campagna elettorale. È tutto il rumore di fondo, per non citare le voci di dentro, che conferma la crisi precoce del cantiere del nuovo centro. Non lo diciamo con soddisfazione, anzi. Il Pd a trazione bersaniana ha fin qui operato secondo uno schema di gioco che prevedeva il rafforzamento di un terzo polo per comodità definito «moderato» insieme al quale completare all’indomani delle elezioni l’arco della futura maggioranza di governo.

Ci sono però miracoli ai quali non arriva neanche la proverbiale abilità dalemiana nell’organizzare le forze altrui oltre che le proprie. In questo caso, il miracolo che non sta riuscendo è rendere competitiva in un mercato elettorale esigente e diffidente un’offerta politica indelebilmente marchiata Casini-Fini (vecchie glorie in tempi di cambiamento galoppante) oppure Montezemolo (un newcomer terribilmente old ed esitante fino all’esasperazione), senza poter usufruire di alcuna benedizione da parte dell’unico denominatore comune di vaglia, cioè Mario Monti.

In più mettiamoci l’incongruenza programmatica fra i liberisti di Giannino, i cattolici sociali cislini e quelli tradizionalisti alla Buttiglione, i martiniani alla Olivero, gli economisti liberali da sempre e i finiani liberali recenti: tutte persone di prima qualità non inclini a consegnarsi le une alle altre. Intendiamoci, in tutti i partiti ci sono convivenze irrisolte. Nel Pd però, per esempio, il mescolamento è cominciato anni fa, si svolge in un contenitore ormai stabilizzato e adesso è incoraggiato dalla prospettiva del successo. Nessuna di queste condizioni aiuta il varo della Lista per l’Italia, già attraversata da troppe linee di scissione: gli elettori non ne sanno nulla, ma certe fragilità e incompiutezze le intuiscono perfettamente.

Esiste nel Pd un piano B per assimilare la parte più interessante di questo mondo nel recinto del centrosinistra. Può essere utile e vincente. A patto però di non perseguire il modello perfidamente noto come “partito dei contadini” (gli storici comodi alleati dei comunisti polacchi): gli elettori si sono fatti esigenti, non è più tempo di liste civetta. Altro discorso sarebbe se Bersani annunciasse che in questi mesi si farà il primo passo verso una rifondazione del Pd con confini allargati, sull’antico progetto prodiano-veltroniano. Un’idea ambiziosa con poco tempo per rendersi credibile.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.