Il Vangelo che non capisci (stolto!)

25 aprile – San Marco evangelista (primo secolo)

Basilica di Cork, Eire

Un profeta grida nel deserto e battezza i peccatori nelle acque del Giordano; tra di loro vi è un nuovo giovane predicatore, che dopo una quarantena nel deserto si mette a proclamare una buona novella, attraverso parabole enigmatiche e profezie di sventura. Gli va meglio con le guarigioni miracolose: usa sistemi un po’ singolari, (fango, sputi), ma tutto sommato funzionano. Un paio di volte si ritrova a dover moltiplicare pani e pesci per le folle che si radunano ad ascoltarlo. Quel che dice però non è sempre chiaro, nemmeno ai dodici collaboratori più stretti, che a volte hanno troppa soggezione per chiedere spiegazioni. In seguito il predicatore viene accusato di sedizione, arrestato e fatto uccidere. Ma il terzo giorno le donne trovano nel sepolcro, al posto del corpo, un ragazzo vestito di bianco che parla di resurrezione, e scappano impaurite. Questo è in sostanza il Vangelo di Marco, che se non si trovasse mimetizzato in mezzo agli altri risulterebbe un testo abbastanza inquietante: c’è un Gesù senza Natale e senza Pasqua, sempre un po’ arrabbiato perché la gente non capisce. Alla fine di diversi episodi, miracoli o parabole, c’è quel classico versetto alla Marco, come “E si meravigliava per la loro incredulità”, “Chi ha orecchie per intendere intenda”. Solo i bambini lo smuovono un po’ dal suo sempiterno cipiglio (“a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”). Insomma è un tizio burbero, con un cuore che lascia vedere solo a sprazzi:

Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. Ed egli le disse:“Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma essa replicò: “Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia”.

L’episodio c’è anche in Matteo, dove Gesù concede anche un complimento (“Donna, davvero grande è la tua fede!”). In Marco si limita a dire “va’”, e poi passa ad altro. Non è così difficile mettersi nei panni degli apostoli, sempre timidi e vagamente terrorizzati, “stupiti in sé stessi” “Essi però non comprendevano, e avevano timore a chiedere spiegazioni”. Marco è l’evangelista del leone, e il suo Gesù sembra davvero un re leone nella gabbia di un’umanità che non lo capisce. “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (9,19). L’unico Vangelo che suggerisce al lettore che Cristo sulla terra abbia avuto fretta di andarsene.

Ragioni per cui amo Wikipedia

È anche il più breve: nessuna genealogia, nessuna storia sull’infanzia di Gesù (al punto da far sorgere più di un sospetto di adozionismo: Gesù diventerebbe figlio di Dio solo col battesimo nel Giordano, quando si sente una voce dal cielo dire “Tu sei il Figlio mio prediletto”). All’inizio non era inclusa nemmeno – cosa più sorprendente – un’apparizione di Gesù risorto: solo questo ragazzo vestito di bianco che dice alle donne “Non abbiate paura, Gesù è risorto, andate a dire a Pietro che vi precede in Galilea”. Al che le donne scappano terrorizzate “e non dissero niente a nessuno, perché avevano paura”. La versione più antica finisce così: non molto promettente, per il testo fondativo di una religione. Del resto, se le donne non l’hanno detto a nessuno, come facciamo a saperlo? Logica e sintassi greca dell’ultima frase ci lasciano il sospetto che esistesse un seguito, andato perduto quasi subito e rimpiazzato a volte con un solo versetto, a volte con una paginetta che è quella che di solito troviamo nelle nostre traduzioni. In questo finale Gesù appare di nuovo a Maria di Magdala, che lo dice agli apostoli (“Ma essi non vollero credere”), poi a due di loro (ma gli altri “non vollero credere”) e alla fine a tutti gli undici a tavola “e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore”. Il finale lungo probabilmente non è di Marco, ma come si vede è coerente con il suo protagonista: neanche una parola gentile (Ehi, che piacere ritrovarvi, scusate se vi ho fatto prendere paura con questa cosa della passione e morte…) Del resto Cristo è un re, poche smancerie. (continua)Magari è anche il contesto romano, la necessità di conferire al figlio di Dio un’aura di imperiale autorità: se Marco è lo stesso Marco che Pietro chiama suo figlio (=discepolo) nella sua prima lettera (“La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta. Anche Marco, mio figlio, vi saluta”), e se è vero che Babilonia in realtà è Roma, il suo Vangelo sarebbe nato nell’Urbe o comunque pensato per i cristiani della comunità romana. Lo lascerebbero pensare gli errori di geografia (la Palestina di Marco sembra un fondale di cartone, con laghi monti e città alla rinfusa), i tentativi non sempre riusciti di spiegare abitudini e ritualità ebraiche che Matteo dà per scontate, e un versetto: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il Sabato?” che è difficile immaginare sulle labbra di un Gesù davvero ebreo (nella Genesi persino Dio si riposa, nel primo sabato della creazione). Qualcuno si è spinto a trovare echi di Marco nel Satyricon di Petronio, come se la cena di Trimalcione fosse una parodia delle prime mense cristiane. Marco sarebbe dunque lo stenografo di Pietro: il suo Vangelo sarebbe il tentativo di dare una forma scritta coerente agli aneddoti che Pietro predicava (aneddoti in cui, come abbiamo visto, Pietro non ci fa quasi mai una bella figura). Ma Pietro a Roma potrebbe anche non esserci mai arrivato, “Babilonia” potrebbe essere Antiochia o Persepolis-Ctesifonte, tanto più che il Vangelo è scritto in greco (con qualche latinismo).

The Jefferson's Cut

Oltre a essere il testo più breve, è quello con meno materiale originale. Questo si può spiegare in due modi: il suo Gesù burbero potrebbe essere il più antico, quello da cui hanno attinto gli altri (meno Giovanni), addolcendolo un po’. Ma potrebbe anche essere un bignamino di Luca o di Matteo o di entrambi, in versione semplificata per un pubblico che non aveva dimestichezza con gli usi e i luoghi della Palestina. Il dibattito è sconfinato: comincia praticamente nel terzo secolo e arriva ai giorni nostri. Oggi l’ipotesi più condivisa dai critici è che Marco sia una delle fonti di Luca e Matteo, insieme a un altro testo che non ci è arrivato (la famosa “Fonte Q”). Ma anche Marco potrebbe avere attinto a Q, o viceversa, oppure potrebbero esserci più fonti diverse, è un caos interpretativo e se vi intriga il suggerimento è risolvervelo da soli: tanto i testi dei Vangeli li trovate ovunque, in qualsiasi traduzione. Non c’è neanche bisogno di una copia della Bibbia intonsa e un rasoio, come quello di Thomas Jefferson, che si fece un vangelo personale sforbiciando i versetti che per lui non avevano senso. È il dibattito filologico più antico della Storia ed è completamente gratis, approfittatene! (Wikipedia in questo caso mi sembra un buon punto di partenza; non può esserci tutto ma c’è un sacco di roba). Magari per scoprire che l’ipotesi di partenza, la cosiddetta “priorità marciana”, rimane una delle più probabili e suggestive: in questo caso il Gesù più vicino all’originale sarebbe un predicatore scontroso che salta fuori un po’ dal nulla (ma ha fratelli e sorelle) e nel nulla scompare, senza che nessuno tra gli apostoli e le donne abbia ben capito il senso di tutta la storia.

Dopo Roma, la tradizione vuole Marco in missione nel Nordest per conto di Pietro: dopo aver battezzato il primo vescovo di Aquileia (forse la quarta città italiana per popolazione), un naufragio lo avrebbe sospinto nella laguna veneta. A questo punto una voce gli avrebbe detto: Pax tibi Marce, evangelista meus, dopo il martirio riposerai qui. Chissà Marco come dev’esser stato contento del suo palustre sepolcro promesso, sotto il cielo grigio topo che ha la laguna deserta nei giorni di tempesta (Venezia sarebbe sorta solo qualche secolo dopo). Invece in un qualche modo lo ritroviamo ad Alessandria d’Egitto, di nuovo in missione, martirizzato dai pagani. Le sue reliquie arrivano effettivamente a Venezia nel nono secolo, contrabbandate in un recipiente di carne di maiale che i saraceni avrebbero avuto orrore a perquisire.

"Ma non possiamo portarlo fuori e fare le fotocopie?"

Un altro dei rari versetti di Marco che non si ritrovano negli altri Vangeli parla di un ragazzo misterioso che fugge senza mantello al momento dell’arresto di Gesù. Non si sa chi sia e perché fugga; non se ne riparla più; non è strano che Luca e Matteo lo abbiano tagliato (sempre che Marco non sia venuto dopo e non lo abbia aggiunto). Un’ipotesi è che quel ragazzo fosse lo stesso Marco, che qui voleva segnalare la sua presenza come testimone oculare. Però Marco lo chiama con una parola, “neaniskos”, che nel suo testo torna una volta sola: quando si parla di un altro misterioso ragazzo, quello ritrovato dalle donne nel sepolcro di Gesù. È lo stesso ragazzo? Che senso avrebbe? Il Vangelo di Marco sembra un giallo aperto: c’è un protagonista che continua a dirti: non capisci? Non capisci? Neanche così capisci? In che altro modo te lo posso spiegare? Come se dall’altra parte del filo ci fosse un Ente superiore che cerca di comunicare delle ovvietà a un babbuino. E tu ti senti un po’ un babbuino: la soluzione è a un passo, ma ci devi arrivare da solo. Verranno altri evangelisti più completi e accomodanti, con la soluzione alla fine, ma forse il più riuscito è quello che dice: sono un enigma, risolvetemi (stupidi).

Oggi è anche ovviamente la festa della Liberazione, il che provoca molti equivoci a Venezia (con l’antipatica aggravante che San Marco diede il nome a una delle quattro divisioni dell’esercito repubblichino, da non confondere col reggimento). Il venticinque aprile è un giorno molto particolare, che purtroppo spesso si prepara con una serie di polemiche sull’apertura dei negozi. Io non lo so se sia giusto o no tenerli aperti. Però credo che tutte le feste, compreso il 25 aprile, siano fatte per l’uomo, non l’uomo per il 25 aprile. Almeno io l’ho capita così, ma magari non ho capito niente. Buona Liberazione.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.