Il fantasma del Monte dei Paschi

È l’incubo del morto che afferra il vivo, sperando che il morto lo sia davvero. La campagna elettorale del Pd va a sbattere contro lo scandalo Monte dei Paschi. Gli avversari di Bersani provano ad approfittare della vicenda che ha già travolto Giuseppe Mussari: una storia che in verità pone, prima che interrogativi politici, seri dubbi sull’efficienza della vigilanza di Banca d’Italia e Consob. Oltre all’ex presidente del Monte e ormai ex presidente dell’Abi, saranno altri a dover rispondere in merito alle responsabilità dirette e indirette per l’enorme buco apertosi nel terzo istituto finanziario d’Italia, coperto con tanti soldi pubblici quanti ne provengono dal gettito annuale dell’Imu.

Le strumentalizzazioni sono troppo facili perché tutti non ci si buttino a pesce. Gli attacchi di Pdl e Lega al Pd e a Monti cercano di trasformare il mezzo crack di Mps in un fatto politico, in uno dei fattori della campagna elettorale. Grillo vuole presentarsi domani all’assemblea degli azionisti: l’intento è dichiarato. Ingroia naturalmente non si tira indietro.

Ragionando freddamente (ciò che non avverrà nei prossimi giorni), c’è un discorso che riguarda quel prestito di 3,9 miliardi, strumento finanziario predisposto da Tremonti ed erogato da Monti.
Ogni polemica su questa scelta cade soprattutto per l’inevitabilità del salvataggio e delle caratteristiche (assai onerose per il beneficiario) del prestito pubblico. Che non è un regalo, anche se sarà difficile farlo comprendere a chi dalle banche non riesce a farsi erogare neanche il più modesto dei mutui.

L’attacco ai democratici è invece un attacco a una storia che li precede. Quando Bersani replica alle accuse dice una cosa vera: «Il Pd fa il Pd, la banca fa la banca». Vera adesso e vera almeno da quando, negli ultimi anni, s’è capito che perfino a Siena occorreva chiudere la lunga epoca dell’intreccio fra amministrazione, sindacati, politica e finanza.
Si tratta però di un’inversione di rotta (e, dunque, di una “verità”) relativamente recente, a fronte di una storia di collateralismo esplicito (che non impediva a Mps di essere anche l’istituto preferito della famiglia Berlusconi e di Mediaset, per dire).
Ecco perché c’è una tradizione (morta) che rischia di afferrare una innovazione troppo recente, e non sempre limpidamente perseguita dai gruppi dirigenti locali. Per Bersani è una prova in più. Imprevista, forse la più insidiosa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.