I tweet di Salvini – The Problem We All Live With

La dura presa di posizione del Procuratore capo di Torino Armando Spataro per l’inopportuno tweet del Ministro dell’Interno Matteo Salvini e la successiva scomposta reazione di questi merita credo qualche ulteriore riflessione, perché il problema svelato dalla smania comunicativa del Ministro non è (solo) un potenziale danno all’indagine o la mancanza di un coordinamento tra poteri dello Stato, ma una questione più profonda e dal mio punto di vista più inquietante.

All’ art. 4 della Direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza approvata dal Parlamento Europeo nel marzo 2016 si legge:

1.Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole…

E all’ultimo comma del medesimo articolo:

3.L’obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico.

Nella Direttiva è specificato che per “dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche” deve intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un’autorità coinvolta nel procedimento penale, quali la magistratura o la polizia giudiziaria, o da un’altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici. (considerando 17).

E ancora, al considerando 18, si specifica che le autorità pubbliche possono sì divulgare informazioni sui procedimenti penali, ma solo qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico, e per chiarire il concetto cita alcuni esempi: “come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato o come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o ancora la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico.”
Il ricorso a tali ragioni, prosegue la Direttiva, dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti.
In ogni caso, si legge ancora, le modalità e il contesto di divulgazione delle informazioni non dovrebbero dare l’impressione della colpevolezza dell’interessato prima che questa sia stata legalmente provata.

Ora leggete i tweet del Ministro dell’Interno che con la stessa leggerezza con cui posta la foto della pasta al sugo diffonde gioiosamente notizie relative ad indagini in corso, definendo 15 arrestati per vari reati “mafiosi nigeriani”, e dando per “colpevoli” di diversi delitti 49 indiziati per mafia.

Valutate poi, alla luce della Direttiva, i motivi che hanno indotto il Ministro a divulgare la notizia con quei tweet.
Tralascio ogni considerazione sull’irrilevante urgenza di dover ringraziare le forze dell’ordine (sic!), e provo a dare una mia lettura.
Quella divulgazione trova la medesima motivazione sottesa ai post della pasta al ragù: ricevere consensi, like e retweet; è l’autocompiacimento che affligge tutti sui social, e che per il Ministro significa dare l’immagine dell’uomo forte, l’uomo comune (la pasta e i baci Perugina) che a capo di un esercito combatte i delinquenti, preferibilmente extracomunitari e mafiosi a cui non deve esser concessa alcuna presunzione d’innocenza. Con quei tweet il Ministro mette a disposizione degli odiatori nuovi argomenti utili a rafforzare la sua personale, ma efficace, percezione del bene e del male.

È evidente che la Direttiva 2016/343 non è nota al Viminale ed è a me altrettanto evidente che quella Direttiva è oggi più che mai importante.

Son cosciente che la presunzione d’innocenza non vada oggi di moda e ormai siamo abituati ai processi sommari, per cui su Facebook, Twitter e sui giornali allo scattar delle manette (talvolta anche prima), la sentenza è emessa ed è definitiva. Io però ci sono affezionato a quel principio su cui poggia il rapporto tra il cittadino e lo Stato, e se ad azzerare quel fondamento di civiltà in nome dell’autocompiacimento e della propaganda è il Ministro dell’Interno, io mi inquieto. E mi aspetto una reazione.

E la relazione arriva dalla Procura di Torino, e, non a caso, dal Procuratore Armando Spataro.

 La diffusione della notizia contraddice prassi e direttive vigenti nel Circondario di Torino secondo cui gli organi di polizia giudiziaria che vi operano concordano contenuti, modalità e tempi della diffusione della notizie di interesse pubblico, allo scopo di fornire informazioni ispirate a criteri di sobrietà e di rispetto dei diritti e delle garanzie spettanti agli indagati per qualsiasi reato”

Così si legge nel comunicato.

Nessun commentatore, mi pare, ha sottolineato l’importanza di quella frase. Eppure per me è quella la frase più importante dell’intero comunicato della Procura di Torino. In quella frase ci sono la sobrietà, il rispetto e la fermezza che ci si deve aspettare da una Pubblica Autorità.

Non importa affatto se quei tweet abbiano o meno danneggiato l’indagine, se fossero intempestivi. Quei Tweet sono la plastica rappresentazione di ciò che una pubblica autorità, un Ministro dell’Interno, non può fare, per espressa normativa: anteporre se stesso, la propria immagine ed il proprio autocompiacimento ai diritti e alle garanzie spettanti a tutti, anche agli indagati, per qualsivoglia reato.

Giusto un anno fa, per il Natale 2017, un magistrato torinese fece dono agli avvocati del Foro della storia di questo quadro di Norman Rockwell, The Problem We All Live With, raccontandoci perché quell’immagine l’avesse colpito profondamente, tanto da auspicare che fosse esposta in ogni ufficio degli operatori di giustizia.

https://www.instagram.com/p/BeqY-UynxJI/

La forza di quel quadro, spiegò il magistrato, non è tanto in ciò che c’è – il problema razziale, i pomodori lanciati da un’invisibile folla e la fierezza della bambina di colore – ma ciò che non c’è: non ci sono le facce dello Stato. I visi e l’identità dei Marshals che scortano la bimba sono volutamente tagliate, non sono importanti, anzi, la forza di quei quattro servitori dello Stato sta proprio lì.

Credo che tutti coloro che lavorano per la Giustizia, noi magistrati per primi, dovrebbero amarla [quell’immagine]: spiega cos’è il senso del dovere, spiega cosa i cittadini da noi si aspettano. Fa comprendere perché non servono i nostri volti, né servono le icone (vere o presunte o autofabbricate), né i titoli da prima pagina. Contano piuttosto i sentimenti, la passione, la solidarietà, il rispetto degli altri, il senso del dovere che tutto riassume.

Questo scriveva il Procuratore Capo di Torino Armando Spataro nel 2017, agli avvocati di Torino.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter