La guerra dei bambini uccisi e poi usati

Le porteremo con noi a lungo, le immagini dei quattro bambini palestinesi uccisi ieri dai missili della marina di Tel Aviv mentre giocavano a pallone sulla spiaggia di Gaza. Gli occhi chiusi, i volti scoperti, i corpi avvolti nelle bandiere gialle di Fatah mentre le barelle escono dalla moschea.
Siamo a due settimane dal ritrovamento dei corpi dei tre adolescenti israeliani rapiti e assassinati da una scheggia impazzita di Hamas. E a poco meno dalla vendetta atroce operata a Gerusalemme su un loro coetaneo palestinese, bruciato vivo da alcuni esaltati.
Non è neanche una novità, purtroppo, ma davvero sembra che la guerra tra israeliani e palestinesi non sia abbastanza orribile se non coinvolge bambini e ragazzi, e poi non ne espone le foto al mondo, una specie di cupa gara prima a colpire gli indifesi e poi a trasformarli in icone della crudeltà altrui.

Di vittime innocenti ha bisogno il conflitto per nutrire l’odio reciproco. Quando si pensa che non ce ne siano abbastanza, si inventano (hanno fatto scuola i casi di disinformazione su stragi israeliane in realtà mai perpetrate). E quando non sono le parti in causa a sviare i giornalisti, essi provvedono da soli a inventare storie di ferite e di dolore, come è accaduto recentemente anche qui in Italia.
Dentro il moto di ripulsa genuina di ognuno, si inscrive la rabbia a comando delle tifoserie, di chi tra Israele e Palestina ha scelto preventivamente con chi schierarsi, impermeabile all’evidenza di un micidiale intrico di errori e orrori bipartisan. Per costoro, le foto dei piccoli uccisi devono generare non solo empatia ma soprattutto milizia partigiana più accesa: senza arrivare agli estremi del bollito Vattimo, questo fondo di cinismo è in molte prese di posizione.

Ma queste in fondo sono miserie nostrane, piccole viltà che poco incidono sulla realtà dello scontro e anche sulla sua percezione nell’opinione pubblica più ampia, che casomai si è negli anni ritratta, esasperata e stanca, passando dall’ansia al disinteresse verso due popoli che non riescono a non massacrarsi reciprocamente.
Il punto è l’effetto che le morti bambine hanno sul posto. E non solo perché approfondiscono il fossato. Ieri sera Israele ha deciso una tregua “umanitaria” unilaterale di sei ore. Buona notizia, in sé. Generata anche dall’impressione destata dallo scempio della spiaggia. Dunque conferma obliqua che vedere morire dei ragazzini, alla fine, serve a qualcosa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.