Non guardate il figlio

Nella questione che riguarda il ministro Lupi e l’inchiesta sulla corruzione al Ministero delle Infrastrutture, le accuse intorno al lavoro del figlio del ministro mi sembrano fuorvianti. Ci ho pensato, nei miei panni di diffidente del ministro Lupi, di “contribuente” che gli paga lo stipendio e di deluso dell’ennesimo caso di corruzione nell’amministrazione pubblica italiana. E poi, come si deve cercare di fare quando si vuole riflettere obiettivamente sulle cose, ci ho pensato anche nei panni del ministro Lupi.
La storia del figlio di Lupi, credo, occupa grande spazio sui giornali e colpisce perché i giornalisti sanno che il tema “ha sistemato il figlio” tocca emozioni sensibili in un paese abituato a vivere i legami familiari come il principale (ma anche assai condiviso) meccanismo di abusi complici a danno della comunità. È un paese in cui la maggiore organizzazione criminale viene chiamata “la famiglia”, non a caso. Aggiungeteci i tempi difficili per i figli di quasi tutti, e quella storia ci attrae e indigna, inevitabilmente.

Ma a leggerla obiettivamente – per quanto sia possibile ingerire in psicologie e relazioni personali di cui non sappiamo davvero niente, e quindi tendiamo ad applicare criteri e interpretazioni generiche e sommarie – quello che si legge può essere plausibilmente raccontato così: Lupi ha un amico – amico di famiglia, si vedono insieme spesso – che si chiama Perotti, e dopo che il figlio di Lupi si è laureato in ingegneria e ha fatto uno stage in uno studio di architettura, Perotti prende per un anno a lavorare in una sua azienda il figlio di Lupi pagandolo 1300 euro al mese e mandandolo a lavorare sul cantiere di tre nuovi edifici alla periferia di Milano. Per un anno, a termine, prima che il figlio di Lupi entri a lavorare nello studio americano in cui ha fatto uno stage.
Sostituite i nomi di Lupi e Perotti con i vostri o quelli di qualche vostro amico, e riflettete se la storia – benché privilegiata – vi sembri nel suo sviluppo scandalosa o straordinaria.

Voi direte “ma Lupi è un ministro!”. Che avete ragione, ha un valore: ma appunto, non credete che il figlio del ministro delle Infrastrutture abbia purtroppo ben altre opportunità di essere favorito, “sistemato”, soltanto a far circolare la parentela? Senza ricorrere a un amico di famiglia, senza la temporaneità di un anno, con ben altri poteri e stipendi? Mi viene quasi da dire che il caso del figlio di Lupi sia un’eccezione: nelle storie a cui siamo abituati Luca Lupi sarebbe a capo di una sua impresa con appalti del ministero, o presidente di un ente per la ricostruzione in Abruzzo, o candidato alle europee.
E a volerla fare più limpida, sarebbe assunto da qualunque impresa di costruzioni che legga il suo cognome sul curriculum.
Invece è stato preso per un anno, pagandolo 1300 euro al mese e mandandolo a lavorare sul cantiere di tre nuovi edifici alla periferia di Milano, da un amico di famiglia che lo conosce. E che tendo a immaginare lo avrebbe preso anche se il suo amico Maurizio Lupi facesse privatamente l’avvocato, o il commerciante in detersivi.

Magari mi invento dei pezzi, ma ripeto, mi pare una storia emozionante ma fuorviante. Era più furbo evitare, e fargli trovare lavoro altrove che non dal primo collegabile alla tua famiglia, certo. Ma il problema è un altro, se spostiamo le telecamere dal figlio e torniamo sull’edificio del ministero delle Infrastrutture in via Nomentana: è che quell’amico di famiglia abbia ricevuto in questi anni decine di incarichi preziosi e importantissimi dal ministero. E che il ministro Lupi abbia avallato decisioni che hanno reso al suo amico milioni, e che – se fossero dimostrate le accuse penali – abbia omesso il minimo controllo su un sistema di corruzione di cui erano responsabili, nel suo ministero, il suo più importante dirigente e il suo amico costruttore.

C’è una sola cosa che Lupi può dire per non dimettersi: «Sono convinto che queste accuse contro Incalza e Perotti siano completamente false, perché la mia vicinanza professionale e personale ad ambedue mi fa escludere completamente che possano essere vere; e se lo fossero lo saprei e dovrei dimettermi; e se non lo sapessi, sarei colpevole di inettitudine nel mio ruolo di ministro e dovrei dimettermi». Se Lupi è disposto a dire questa cosa guardando tutti negli occhi e ad affrontarne l’eventuale smentita, la dica.
Se no, ci si dimette.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).