Fermate il remake del 2006

Il «doppio registro» di Bersani tra governo e convenzione per le riforme non basta al Pdl e alla Lega. Dovrà «lavorarci ancora», dice il presidente incaricato, anche perché c’è Scelta civica che subordina il proprio appoggio a un maggiore coinvolgimento del centrodestra.

Su che cosa si può «lavorare»?
Possiamo escludere che il segretario del Pd si pieghi al pressing di Berlusconi: non vedremo mai, per fortuna, l’alba di un governo Bersani-Alfano.
Possiamo anche escludere sorprese dal M5S. L’incontro di stamattina ha un obiettivo solo di comunicazione, diciamo pure di propaganda: non si determinano svolte politiche in diretta streaming. Né ci sono tracce di dissensi fra i grillini rispetto alla linea di estraneità al varo di qualsiasi governo.

Rimangono due chances per Bersani.
Per quanto l’incaricato possa smentire, il convincimento del Pdl a «non impedire» la nascita del governo transita attraverso la concessione di garanzie vincolanti sulla presidenza della repubblica. È questa la prima chance, non sappiamo incarnata da quale candidato per il Quirinale.
Se questa strada fosse preclusa, o Bersani non volesse praticarla, il leader Pd potrebbe comunque cercare domani di forzare la mano a un riluttante Napolitano per ottenere il via libera alla formazione e al giuramento del governo «di cambiamento» con seguente fiducia/sfiducia di camera e senato.

Questo esito (che per molti è da sempre l’obiettivo principale di Bersani) rischierebbe di causarne un altro, a catena: l’elezione del nuovo capo dello stato coi soli voti di centrosinistra, più spiccioli.
Col che, l’infausto parallelismo con il 2006 sarebbe completo.
A una non-vittoria elettorale (che nel 2013 somiglia più a una sconfitta) avrebbero fatto seguito (grazie al Porcellum) l’elezione a stretta maggioranza dei due presidenti delle camere, del presidente del consiglio e del presidente della repubblica. Si dirà: per colpa del Pdl che si chiama fuori. Esile velo propagandistico, facilissimo da strappare per il centrodestra.

Dalle forzature del 2006 scaturirono due anni di governo da dimenticare e, nel 2008, il ritorno trionfante di Berlusconi a palazzo Chigi travolgendo anche la novità rappresentata dal Pd di Veltroni.
Sarà bene fermare per tempo il remake. Anche perché stavolta il film dell’orrore non durerebbe neanche due anni. Finirebbe (male) molto prima.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.