Elena Ferrante è una storia

Non sono perdonabili le invadenze giornalistiche aggressive nei confronti di nessuno, né persone qualunque terremotate, né politici in quanto tali, né sindaci, né divi del cinema, né celebrities varie. E invece ce ne sono esempi quotidiani, un vero formato contemporaneo, molestie e linciaggi su cui ci sono estese indulgenze e claques. Chi da oggi si mettesse a infastidire la signora sospettata di “essere Elena Ferrante” in questo genere di modi, non è quindi perdonabile, e più che un giornalista sarebbe un teppista.

Ma chi invece ha deciso di indagare con metodi giornalistici su chi sia realmente l’autore/autrice che ha deciso di scrivere sotto pseudonimo quello che è diventato uno dei più notevoli e discussi successi editoriali mondiali di questi anni, non ha fatto niente di riprovevole, e ha fatto esattamente il lavoro del giornalista: seguire una storia, scoprirne le cose ignote, raccontarle. E che si tratti di una storia, è indiscutibile. E benché siano comprensibili i fastidi dell’editore che su questo segreto ha investito molto, quello che ha fatto Claudio Gatti non è diverso da quello che qualche mese fa fece il professor Santagata tra scandali molto minori: cercare di scoprire un mistero. La differenza, sembra, è che il giornalista Gatti ha trovato più di quello che trovò lo studioso Santagata, e nel generare ora reazioni più scandalizzate hanno un peso o i risultati o le qualifiche.
Poi che ci siano lettori affezionati che preferiscono non sapere, o le cui simpatie per l’autore/autrice muovono maggiori solidarietà nei suoi confronti, è una cosa comprensibile: ma è prepotente e arrogante attribuirsi diritti maggiori degli altri in quanto lettori. Certo che “per l’opera non ha nessuna importanza”: proprio perché non ce l’ha non si devono confondere le due storie (e scagli la prima pietra il lettore che si è sottratto in questi anni alle conversazioni sull’identità di Elena Ferrante). È meno comprensibile che si chieda invece per una scrittrice un riguardo che si nega ad altri protagonisti pubblici di grande successo. Perché raccontare chi sia Elena Ferrante non è diverso da raccontare il divorzio tra Brad Pitt e Angelina Jolie – e probabilmente più interessante -, o chi fosse Gola Profonda. Svelare i conti di un editore non è più disdicevole di raccontare quelli di un candidato alla presidenza americana. Chi cita con qualche compiacimento i grandi autori pseudonimi del passato rivela strani modi di leggere e capire l’oggi, e confonde storia della letteratura e giornalismo. E immagino che se oggi qualcuno rivelasse che i primi libri di Philip Roth li ha scritti suo cugino, l’attenzione di tutti sarebbe enorme (la vicenda di Gordon Lish e Raymond Carver, per dirne una vera, attira attenzioni da sempre). La storia c’è.

E anzi, il deliberato e rivendicato mistero intorno all’autore/autrice, e addirittura le estese teorizzazioni sulle ragioni “politiche” di questa scelta di anonimato da parte sua e degli editori, le sue interviste e comunicazioni sul tema, annullano ogni obiezione sulla “scelta di silenzio” eccetera. L’articolo di Gatti ha una sola fragilità che permette di criticarlo: non arriva a conclusioni certe, per sua stessa ammissione. È infatti discutibile eventualmente la scelta di pubblicare o no le cose che ha scoperto, in mancanza di certezza. Per questo se l’ipotesi si rivelasse errata la signora citata, irritata per qualunque ragione legittima, avrebbe buon diritto di non volere responsabilità che non sono sue e seccature che non ha cercato. Ma per questo bisogna che almeno dica “è falso” (lo fece, ridendo, la precedente sospettata), rispetto a un’ipotesi discretamente argomentata: e allora che Gatti e il Sole si scusino di avere tirato in ballo la persona sbagliata senza le dovute cautele.
Altrimenti, è giornalismo.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).