Inferiori

Come si fa a dire che le idee dell’ex ingegnere di Google James Damore – licenziato questa settimana per aver diffuso tra i suoi colleghi un documento in cui sosteneva che le donne sarebbero meno adatte degli uomini a occupare posizioni importanti nelle aziende di tecnologia per una loro supposta “naturale” attitudine alle cose immateriali e artistiche, invece che a quelle pratiche e scientifiche – non hanno un vero fondamento scientifico? Come avrà notato chi ha letto interamente il suo documento, Damore cita studi pubblicati su riviste scientifiche e che dunque sono stati realizzati ed esaminati da scienziati. Eppure non esistono prove definitive sull’esistenza di differenze biologiche tra donne e uomini in termini di capacità intellettive: ci sono gli studi scientifici a cui Damore fa riferimento, ma ce ne sono anche altri che dicono cose diverse.

Nel Regno Unito e negli Stati Uniti è uscito da qualche mese un libro che fa proprio al caso di chi vuole chiarirsi le idee su questa faccenda, rispondendo a chi si è sempre domandato cosa renda diversi donne e uomini quando si parla di dimensioni del cervello, predisposizione naturale a fare una cosa piuttosto che un’altra e – non da meno – abitudini sessuali. È un saggio intitolato Inferior, e ha per sottotitolo How Science Got Women Wrong and the New Research That’s Rewriting the Story, cioè “Come la scienza si è sbagliata sulle donne e le nuove ricerche che stanno riscrivendo la storia”. Lo ha scritto Angela Saini, una giornalista scientifica inglese laureata in ingegneria che lavora e ha lavorato per BBC, per il Guardian e per le riviste Science, Wired e New Scientist.

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La copertina dell’edizione britannica di Inferior, pubblicata da 4th Estate, del gruppo Harper Collins;
anche la grafica, fatta dal designer Jonathan Pelham, è molto bella.

Nel primo capitolo di Inferior, Saini racconta come, quando Darwin capì come funzionano l’evoluzione e la selezione naturale, si aprì paradossalmente la strada al riconoscimento della donna come essere umano al pari dell’uomo (all’epoca nei paesi occidentali si pensava veramente che le donne fossero costole) e al tempo stesso la si richiuse. La maggior parte degli scienziati dell’epoca, infatti, era convinta che le donne fossero inferiori agli uomini, e lo pensava lo stesso Darwin. Per lui l’evoluzionismo confermava il pregiudizio: negli animali osserviamo che sono i maschi a dover convincere le femmine ad accoppiarsi con loro e per questo, nel corso di milioni di anni, ai leoni maschi è venuta la criniera, ai pavoni maschi le penne per fare la ruota, eccetera. Le femmine al contrario sono rimaste tutte marroncine come gli esemplari femmina di pavone, perché non avevano ragioni di selezione naturale per diventare più colorate o appariscenti: avrebbero sempre trovato maschi desiderosi di accoppiarsi con loro. Nelle donne, secondo Darwin, l’essere “marroncine” equivaleva all’essere meno intelligenti.

Darwin è una delle massime autorità scientifiche della storia, ed è comprensibile che per molto tempo nessuno abbia messo in discussione la sua opinione sulle donne, sebbene non fosse mai stato provato che le donne fossero meno intelligenti degli uomini. In generale per molto tempo nessuno si è interessato particolarmente alle differenze biologiche tra uomini e donne, almeno fino a quando gli ormoni sessuali cominciarono a essere studiati negli anni Venti. All’inizio sembrava che il testosterone da un lato e gli estrogeni e il progesterone dall’altro fossero delle specie di estratti della mascolinità e della femminilità (concetti ideali a cui si associavano le caratteristiche tradizionali su cosa è maschile e cosa è femminile), ma poi si capì che anche nelle donne c’è il testosterone, e negli uomini gli estrogeni e il progesterone. Pochi anni dopo l’antropologa Margaret Mead, studiando le culture di popolazioni non ancora influenzate da colonizzatori europei, ipotizzò che fosse la cultura e non la biologia a determinare cosa è maschile e cosa è femminile. Nel corso degli anni molte idee di Mead sono state contestate, ma il ruolo della cultura nel formare le identità di genere è stato riconosciuto dalla scienza, sebbene non sia ancora stato possibile “misurarlo”.

Inferior fa il punto sullo stato dell’arte in molti campi che riguardano le differenze biologiche tra donne e uomini. Un tema affrontato è il fatto – riscontrato in tutto il mondo – che le donne vivano in media più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più: pare che c’entrino gli alti livelli di estrogeno e progesterone, che rendono il sistema immunitario più flessibile e forte. Poi c’è la questione dell’età a cui le bambine e i bambini cominciano a mostrare delle differenze di comportamento (tra i due e i tre anni i bambini diventano consapevoli del loro sesso) e quella delle diverse dimensioni del cervello (medie) di uomini e donne, e delle conseguenze di questa differenza. Si parla poi degli studi sul contributo delle donne nelle società di cacciatori e raccoglitori dei nostri antenati (e sul significato evolutivo della menopausa, che c’entra), di quelli sui diversi comportamenti sessuali di donne e uomini e di quelli sui rapporti di dominio e sottomissione tra i sessi che si vedono sia in alcuni animali sia nella maggior parte delle culture umane.

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Tutte le cose di cui parla Inferior sono molto interessanti ma visto che in questi giorni si è discusso soprattutto delle differenze biologiche che riguardano il cervello, vi dirò qualcosa in più su questo argomento. Come la stessa Saini ha spiegato sul Guardian, le idee di James Damore si basano sulle teorie di alcuni neuroscienzati che pensano che i cervelli femminili e maschili siano intrinsecamente diversi: cioè che quelli femminili siano predisposti all’empatia e quelli maschili ad analizzare sistemi complessi, computer e automobili. Questa cosa non è mai stata veramente dimostrata però, è una teoria. Ed è una teoria contestata da molti.

Il principale esponente di questa teoria è uno psicologo e neuroscienziato britannico che si chiama Simon Baron-Cohen, insegna all’Università di Cambridge ed è esperto di autismo. Nel 2000 una squadra di ricercatori di cui Baron-Cohen faceva parte pubblicò sulla rivista Infant Behavior and Development un articolo in cui si sosteneva che anche tra i neonati di alcuni giorni esistessero delle diverse inclinazioni a seconda del sesso. Nell’esperimento descritto dall’articolo, a 102 neonati furono mostrate la fotografia di una faccia e una giostrina di quelle che si appendono sopra alle culle: la maggior parte dei neonati non mostrò una preferenza tra i due oggetti, ma tra quelli che invece guardavano più a lungo l’uno o l’altro oggetto, la maggior parte dei maschi preferiva la giostrina e la maggior parte delle femmine preferiva la fotografia della faccia. La conclusione dell’esperimento era che le differenze di inclinazioni tra donne e uomini sarebbero innate, cioè esisterebbero anche prima che la cultura e la società abbiano il tempo di influenzare bambine e bambini con gli stereotipi di genere.

Due anni dopo la pubblicazione di questo studio, Baron-Cohen ha formulato una teoria secondo cui il cervello femminile sarebbe portato per l’empatia e quello maschile per analizzare e costruire sistemi, come computer e motori. Secondo questa teoria, singoli uomini e donne possono avere un cervello in parte maschile e in parte femminile, ma in media le donne lo hanno più femminile e gli uomini più maschile, secondo questa interpretazione dei due termini. Nel 2003 uscì un libro (pubblicato in italiano col titolo Questione di cervello. La differenza essenziale tra uomini e donne) in cui Baron-Cohen descriveva con grandi dettagli quali sarebbero le caratteristiche dei cervelli femminili e maschili: ai primi piacerebbe passare il tempo libero prendendo un caffè o cenando con gli amici, dare consigli sui problemi nelle relazioni e occuparsi di animali o altre persone; ai secondi piacerebbe riparare automobili e motociclette, pilotare gli aeroplani, fare birdwatching, andare in barca a vela, giocare ai videogiochi, fare fotografie o occuparsi con il fai da te. Tutte queste differenze per Baron-Cohen sarebbero dovute alle diverse esposizioni agli ormoni durante la gravidanza.

In Inferior, Saini spiega come però l’elenco di caratteristiche “maschili” e “femminili” elencate da Baron-Cohen non siano state definite tali da ricerche apposite e che quasi tutta la teoria dello psicologo sia basata sull’esperimento del 2000. Esperimento che finora nessuno ha replicato e che ha ricevuto diverse critiche per come è stato svolto, visto che la sperimentatrice – una studentessa di 22 anni con una laurea di primo livello, quindi inesperta – conosceva il sesso di alcuni dei bambini che stava analizzando e per questo potrebbe averli influenzati. Studi diversi fatti su bambini più grandi – come quelli della psicologa Melissa Hines, che a sua volta insegna a Cambridge – dicono che i bambini maschi e femmine non mostrano preferenze per giocattoli “da maschi” e “da femmine” prima di aver compiuto uno o due anni. Non ci sono nemmeno studi che colleghino direttamente il tipo di ormoni a cui si è esposti durante la gravidanza a certe predisposizioni mentali che si manifestano più avanti nel corso della vita.

Una cosa accettata dalla maggior parte della comunità scientifica è che la donna media e l’uomo medio sono intelligenti nella stessa misura. Secondo alcuni c’è più variazione statistica riguardo all’intelligenza negli uomini, rispetto a quanto sia presente nelle donne. Ovvero: gli uomini meno intelligenti sarebbero meno intelligenti di tutte le donne, e gli uomini più intelligenti sarebbero più intelligenti di tutte le donne. Quest’ultima ipotesi però non è stata confermata definitivamente, anzi c’è chi sostiene che tra le donne e gli uomini più intelligenti non ci siano differenze, e che tra le persone meno intelligenti ci sia un “primato” maschile, perché negli uomini i ritardi mentali sono più frequenti. Per chi si è appassionato e vuole avere un passaggio ulteriore: i ritardi mentali sono più frequenti negli uomini perché spesso sono legati ai geni sui cromosomi sessuali X. Le donne ne hanno due e quindi anche se uno dei due porta il gene del ritardo, hanno il 50 per cento di probabilità che non abbia effetto; gli uomini invece hanno solo un cromosoma X, a cui si aggiunge il cromosoma Y, che però è più corto e quindi non ha un gene alternativo per ognuno dei geni – potenzialmente anche quelli del ritardo – sul cromosoma X.

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In Inferior, Saini racconta come in ciascuno degli ambiti di ricerca sulle differenze biologiche tra donne e uomini ci siano teorie molto divergenti, e spiega che le ragioni sono principalmente due: la prima è che si tratta di argomenti molto difficili da studiare, in cui in alcuni casi bisogna fare degli esperimenti sui bambini molto piccoli (mostrandogli delle figure o dei giocattoli, nulla di traumatico), in altri bisogna avanzare delle ipotesi su come vivevano i nostri antenati basandosi sulla vita di alcune piccole popolazioni dell’Amazzonia o su quella dei primati più simili a noi, cioè gli scimpanzé e i bonobo. La seconda è che parliamo di ricerche fatte dalle persone sulle persone: è praticamente inevitabile che i singoli studiosi abbiano dei preconcetti. E infatti in quasi tutti gli ambiti di cui Inferior parla ci sono due principali teorie contrapposte: una ha come massimi sostenitori delle psicologhe, biologhe o antropologhe donne (e femministe) e l’altra degli psicologi, biologi o antropologi uomini.

Però, come femminismo e maschilismo non sono concetti opposti, così il fatto che le scienziate e gli scienziati avessero opinioni personali diverse su ciò che distingue gli uomini e le donne ha avuto effetti opposti. A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, e sempre di più in seguito, il contributo delle scienziate ha permesso di prendere in considerazione aspetti del corpo umano, delle società animali e delle culture primitive che gli scienziati uomini avevano trascurato per anni, per un problema di punto di vista. Dall’altra parte, in alcuni casi, i pregiudizi sessisti di alcuni scienziati, anche considerati molto autorevoli, hanno per anni influenzato la ricerca, prima che le conclusioni a cui quegli stessi scienziati erano giunti fossero messe in discussione.

In questo video del programma di BBC Newsnight Saini riassume efficacemente i problemi della scienza con i pregiudizi sui sessi (è in inglese con i sottotitoli):

Nessuno degli studi cui Saini parla nel suo libro ha chiarito una volta per tutte le questioni che vengono affrontate e nessuna delle teorie è stata riconosciuta come davvero migliore delle altre, come è successo con l’evoluzionismo di Darwin rispetto a quello di Lamarck o al creazionismo. Ma tutte queste teorie e gli studi fatti per sostenerle o formularle sono in qualche modo penetrati nella cultura generale: basti pensare alla questione delle minori dimensioni del cervello femminile, di cui probabilmente avrete sentito parlare in termini poco scientifici. La scienza influenza il modo in cui la società interpreta le differenze tra i sessi.

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Inferior è davvero un libro prezioso, oltre che estremamente interessante. Ha anche il pregio di mettere in luce come le ricerche sulle differenze tra donne e uomini, se portate avanti cercando di non avere pregiudizi, sono utili a tutte le persone, anche agli uomini. Le ricerche sul perché le donne vivono più a lungo, per esempio, potrebbero aiutare la medicina a far vivere di più gli uomini, e quelle sulla menopausa potrebbero rendere più sopportabili per le donne i disagi legati a questa condizione, migliorando di conseguenza anche la vita di chi ama le donne in menopausa o ci lavora insieme.

Inferior non è ancora stato pubblicato in Italia e per ora nessuna casa editrice ha in progetto di farlo. Sarebbe davvero bello se qualcuna si facesse avanti.

Ludovica Lugli

Nata a Modena nel 1991, se fosse nata nel 1941 avrebbe fatto la libraia. Ha studiato fisica per un po’, ma forse avrebbe dovuto scegliere biologia dato che gli animali le piacciono più del grafene.