Perché fare mercato è più importante di fare festival

In un momento come questo, in cui ci si continua a ripetere che c’è crisi, che il cinema non va come dovrebbe, che in tv c’è speranza ma non si sa bene quanta, un evento come il MIA – letteralmente: mercato internazionale dell’audiovisivo – è di un’importanza strategica.

Certo, il fatto che si sia svolto a Roma negli stessi giorni della Festa del cinema e di
Videocittà non ha aiutato. Ma è stato, al di là di qualunque considerazione di parte, un’occasione per fare un punto sulla situazione attuale: come sta l’Italia, come sta l’audiovisivo italiano; e quanto conta, se conta, nel resto del mondo e dell’Europa. Il primo obiettivo del MIA resta fare mercato: invitare compratori e distributori, produttori e addetti ai lavori, per vedere in anteprima, anche solo per poco, le
novità dei prossimi anni. Può capitare così di assistere alla proiezione di brevissimi teaser di presentazione di Gheddafi, Il tribunale delle anime o di Diavoli, le nuove serie di Sky; oppure de Il nome della rosa della Rai, o anche delle prime immagini di Freaks
out, il nuovo film di Gabriele Mainetti.

Ci si può ritrovare di sera, o di pomeriggio, sulla terrazza dell’hotel Barberini circondati da executives di tutto il mondo (quest’anno ci sono state oltre 2.000 presenze, e solo tra gli americani – di chi viene da quella parte del mondo e lavora nell’industry dell’audiovisivo – c’è stato un aumento del 180 per cento). Per qualcuno questi potrebbero essere solamente numeri: cifre che, nella vita d’ogni giorno, hanno poco impatto. E invece non è così. Nel MIA, giunto alla sua quarta edizione sotto la direzione di Lucia Milazzotto, è possibile scattare una fotografia della televisione e del cinema che vedremo nei prossimi anni – dall’immediato futuro, certo; fino a una previsione di almeno due stagioni.

In questo modo, si mette l’Italia al centro del discorso audiovisivo, facendola diventare un palco e una vetrina non solo creativa, ma anche – e forse soprattutto – produttiva. Si può assistere a incontri a porta aperta in cui si discute dello salute del grande e del piccolo schermo, di quanto uscite-evento al cinema possano essere o meno importanti; del fatto che un certo tipo di documentario stia diventando sempre di più un format su cui puntare; di come le donne, lentamente ma inesorabilmente, stiano riguadagnando spazio e posizioni (e il panel con SJ Clarkson, regista di Jessica Jones e del prossimo Star Trek, e Elizabeth Karlsen, produttrice di Carol, è stato particolarmente illuminante sotto questo punto di vista).

Il MIA, insomma, rappresenta meglio e con più precisione di tanti altri eventi che si tengono in Italia che cosa significhi effettivamente muoversi oggi in un mercato mastodontico come quello dell’audiovisivo. Che cosa voglia dire per la televisione italiana (Rai, Sky, eccetera…) avere a che fare con altri network, trovare punti di contatto; inseguire strade vincenti per potersi imporre, o anche solo far notare, a livello internazionale. Si parla di serialità non più come di un fenomeno, ma come di una realtà. Qualcosa da tenere in considerazione e, allo stesso tempo, da guardare con attenzione: perché non è detto che duri e, soprattutto, che continui con questa stessa forza e intensità.

Al MIA è possibile sentire il CEO di One Media parlare del successo di Narcos e del come e perché sia diventata una delle serie più seguite; o anche uno dei vicepresidenti di Skybound, la società di produzione fondata dal fumettista Robert Kirkman, parlare di un metodo più capillare e territoriale di sviluppo dei progetti. Sono lezioni, conferenze, resoconti. All’industry nella sua totalità e, anche, al pubblico. Per muovere i primi passi e, allo stesso tempo, per correggere il tiro dei propri investimenti e delle proprie valutazioni.

Questo tipo di incontri (e, più specificatamente, questo tipo d’incontri in questo periodo dell’anno, subito dopo il mercato francese, subito dopo Toronto e quasi sulla soglia del nuovo anno, quindi di Berlino e degli altri mercati europei) è importante. E non lo è solo per la posizione privilegiata in cui l’Italia si posiziona – l’abbiamo già detto. Ma per l’Europa. Perché, finalmente, si può fare networking contro (o insieme) l’espansione dell’audiovisivo americano; prevedendo l’estensione di quello asiatico (dall’India all’estremo oriente); ragionando non più come singole entità separate (Italia, Spagna, Francia, Regno Unito…) ma come un gruppo unico, messo insieme dagli interessi e dalla creatività.

Gianmaria Tammaro

Napoletano convinto dal '91. Scrive di cinema, serie tv e fumetti. Gli piace Bill Murray. Il suo film preferito è Ricomincio da tre.