B di Brooklyn

«Se non volete restare qui, noi non vi vogliamo. Volete andarvene a Brooklyn? Che liberazione!». Ecco, l’addio non è stato di quelli soft, zero lacrime e poco spazio alle smancerie romantiche tipiche dei distacchi. I New Jersey Nets – franchigia storicamente piuttosto derelitta della NBA – dopo 35 anni lasciano il New Jersey e si trasferiscono al di là del fiume (l’Hudson), a Brooklyn. Le parole in apertura sono del Governatore dello “Stato Giardino”, contrito il giusto per la perdita.

Non che i Nets non abbiano dato qualche motivo ai propri tifosi per esultare: nel corso della loro travagliata storia hanno visto volare a canestro l’afro di “Dr. J”, Julius Erving (ma, ironia della sorte, erano ancora a New York), con Jason Kidd in regia sono finiti due anni di fila alle Finali NBA (2002, 2003) e nel mezzo hanno pure ammirato il Mozart dei Canestri – tanto del Vecchio che del Nuovo Continente – trivellare le retine avversarie (Rest In Peace, Drazen Petrovic).

Il vecchio logo dei New Jersey Nets

La parte vergognosa di essere un tifoso dei New Jersey Nets, quindi, aveva spesso più a che fare con le prime due parole (New Jersey) che con la terza (Nets) e l’approdo nella nuova casa va visto prima di tutto in questa ottica. Con i Knicks dall’altra parte del Lincoln Tunnel hai voglia a non sentirti il cugino povero. Quelli giocano al Madison Square Garden (the world’s most famous arena), all’ombra dell’Empire State Building, tu alla Continental Arena di East Rutherford o al Prudential Center di Newark, fuori dalla svincolo di un’autostrada. Quegli altri hanno vinto due titoli NBA, tu zero. Loro in prima fila hanno Spike Lee, Dustin Hoffman, Ben Stiller, Kate Upton e mille altri nomi del genere, tu nessuno (di noto) a bordocampo e spesso nessuno (e basta) nelle file dietro.

Che si fa? Entra in scena il personaggio numero uno, Mikhail Prokhorov. Dopo una vita passata a far soldi nella Russia di Putin (per poi far finta di corrergli contro, da avversario, alle ultime elezioni russe), a fine 2009 il 58esimo uomo più ricco del pianeta si compra i New Jersey Nets (poco più che uno sfizio, per uno che ha raccontato a 60 minutes di avere uno yacht di 61 metri ma di non sapere più dove l’ha messo). Per prima cosa Prokhorov porta via la squadra dal New Jersey a Brooklyn (dove i russi peraltro sono storicamente di casa, nell’enclave di Brighton Beach). Quella Brooklyn da dove proviene uno dei proprietari di minoranza della franchigia, tale Jay-Z (personaggio numero due, 460 milioni di dollari di patrimonio netto). Ego e soldi non mancano, ora bisogna costruire un progetto, una squadra (possibilmente forte) e un palazzo (nuovo). Per quest’ultimo si bussa alla porta di Frank Gehry (personaggio numero tre) che disegna una delle sue astronavi tutta curve e luccichii da piazzare a un tiro da tre punti di distanza dalle vie dove Jonathan Lethem ambienta La Fortezza della Solitudine, ovvero nel cuore di Brooklyn, la nuova Brooklyn, quella cool, quella diventata fortezza ma degli “hipsters”, quella del triangolo Park Slope-Gowanus-Boerum Hill .

È qui però che si incontra il primo problemino. Il preventivo presentato dall’architetto canadese risulta esoso pure per la danarosa proprietà dei Nets, che decide di fare a meno della griffe – e magari investire i soldi risparmiati per portare LeBron James a Brooklyn. Secondo problemino: l’estate scorsa, come ben documentato, “King” James sceglie le spiagge di South Beach e i Miami Heat e a dire di no subito dopo è pure il secondo obiettivo di mercato, Carmelo Anthony, (aggravante n°1: ‘Melo a Brooklyn c’è pure nato; aggravante n°2: va ai Knicks!). Risultato: arriva Deron Williams, nuovo playmaker su cui rifondare dall’ultima stagione di esilio nel New Jersey. Stagione terminata poco più di una settimana fa – male come al solito, verrebbe da dire. Ventidue partite vinte, il doppio perse. Unica nota positiva: il passato ora è davvero passato, e il futuro da adesso si può iniziare a chiamare presente.

Il logo dei Brooklyn Nets

Riappare in scena l’uomo cresciuto, spacciando droga, nei Marcy Projects di Bedford-Stuyvesant (do or die, Bed-Stuy, la simpatica rima associata a uno dei luoghi oscuri di Brooklyn). È Jay-Z, infatti, a creare il logo dei nuovi Brooklyn Nets e l’annuncio, fatto solo pochi giorni fa, dà ufficialmente il via alla costruzione (anche mediatica) dell’identità della “nuova” squadra. Una costruzione particolarmente interessante e significativa. Il video che saluta i nuovi Nets (Hello Brooklyn) punta al cuore di un certo tipo di newyorchese, ha un messaggio “caldo”, fatto di parole d’ordine chiare come “quartiere”, “famiglia”, “fascino”, “anima”, “casa”, ovvero tutto quello che Manhattan – fredda megalopoli – non è e non potrà mai essere. Poi sia nel video (la costruzione del ponte) che nel logo si strizza inevitabilmente l’occhio al passato: per i colori (la scelta del bianco & nero nell’epoca multicolor dell’HD), per il font utilizzato (che rimanda a quello adottato dalla metropolitana cittadina negli anni ’50) e per l’uso della lettera “B”, la stessa che identificava i Brooklyn Dodgers di baseball (volati a Los Angeles nel 1957 lasciando un vuoto mai colmato).

Solo che qualcosa non torna – e non parlo necessariamente della gloria del passato. Chi ha seguito la vicenda dello sbarco dei Nets nello storico “borough” newyorchese, infatti, sa benissimo quante polemiche e quanta resistenza abbia incontrato proprio da parte di chi – principalmente i residenti – ama e apprezza da sempre la dimensione umana e un po’ retrò del quartiere, nella speranza di preservarla. Per loro, il gigantesco palazzo dello sport e soprattutto l’enorme progetto edilizio che lo accompagna (abitazioni, uffici e parcheggi, soprattutto), nelle mani dell’immobiliarista Bruce Ratner, ha da subito incarnato il nemico contro cui battersi, attraverso manifestazioni, sit-in, marce di protesta e mobilitazioni online. Tutto inutile, ovviamente, davanti ai dollari e (forse) alla semplice evoluzione, ma che gli stessi valori che sono stati al cuore della protesta siano oggi quelli utilizzati dai nuovi Nets per costruirsi un seguito a Brooklyn è quanto meno curioso, ironico e forse un po’ beffardo.

Come finirà? Bè oggi si sa soltanto come inizierà: con un concerto di Jay-Z che il prossimo 28 settembre inaugurerà il Barclays Center, nuovo campo di casa dei Nets e anche dei New York Islander di hockey NHL. Il re dell’hip-hop e consorte (Beyoncé) saranno poi presenze fisse in prima fila quando si alzerà la prima palla a due della storia dei Brooklyn Nets, magari insieme a un parterre super letterario da opporre a quello televisivo-cinematografico dei cugini Knicks. Ve li immaginate – a proposito di coppie – Jonathan Safran Foer e sua moglie Nicole Krauss seduti a pochi posti di distanza da Jonathan Lethem e Rick Moody, magari con la benedizione del padrino del quartiere, Paul Auster? Follie di Brooklyn, forse, ma neppure così tanto – e l’impressione che i nuovi Nets avrebbero potuto tranquillamente completare il proprio restyling abbandonando il vecchio nickname per diventare ufficialmente i Brooklyn Hipsters. La franchigia più cool della NBA (sconfitte permettendo).

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).