Di Pietro, il recidivo

Tutto cominciò proprio con gli attacchi a Giorgio Napolitano. L’8 luglio 2008 in piazza Navona erano già concentrati gli attuali protagonisti dell’estremo assalto al Quirinale, chiamati da Di Pietro per un raduno che avrebbe dovuto essere contro Berlusconi e passò alla storia solo per gli attacchi al capo dello stato (soprattutto da parte di Grillo e Travaglio, guarda un po’ la compagnia) e qualche altra quisquilia tipo la Guzzanti che spedì il papa all’inferno.

Quell’adunata, insieme al precedente rifiuto di fare gruppo unico in parlamento, aprì la crisi fra il Pd di Veltroni e l’Italia dei valori. Almeno, sembrava si dovesse rompere un’alleanza che non si sarebbe mai dovuta fare e che invece nei quattro anni successivi è rimasta appiccicata ai democratici come un chewing gum sotto le scarpe.

Di Pietro è un raider della politica al quale è stato perdonato di tutto. Ora finalmente pare che sia stata messa fine al giochetto di sganciarsi, colpire da tutte le parti (innanzi tutto contro il Pd) e poi tornare con la fotina di Vasto stretta pateticamente fra le mani.
Doveva succedere molto tempo fa ma è vitale che l’equivoco venga troncato adesso. L’antica avversione verso il capo dello stato (perfettamente speculare all’altra, quella di chi lo chiama ancora nipotino di Stalin) è salita al diapason quando Napolitano s’è fatto regista di una fuoriuscita dal berlusconismo che fosse in grado di salvare il paese nel momento del suo probabile collasso.

Per i giacobini di destra e di sinistra la transizione democratica è intollerabile, smonta i sogni palingenetici e lascia campo alla politica. Non è sorprendente che abbiano ripreso in pugno l’arma contundente di inchieste omnibus e intercettazioni a gettone: è il loro modus operandi, l’impronta digitale del gruppo.

Chi, per timore o per calcolo, non si frapponga fra questa schiera e l’istituzione che, unica, è stata in grado di fermare l’Italia in caduta libera, si renderà complice non solo dell’azzoppamento dell’unico uomo politico nel quale gli italiani si riconoscano un po’, e della inevitabile crisi di governo, ma anche di aver rigettato il paese in pasto a chi lo stava divorando nell’autunno scorso.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.