A nemico che fugge

Michele Santoro, ancora una volta, non è un martire: i martiri in genere non hanno mercato, è difficile che vadano a lavorare da un’altra parte con una buonuscita milionaria. Non è una vittima: in fondo non è accaduto niente di pazzesco, non è vero che fosse «impossibile continuare così», anche perché lui continuava così da una vita. Magari aveva, ecco, diritto di essere stufo che la Rai lo considerasse solo un obbligo giudiziario e non un capitale: ecco perché ha fatto una mossa risolutiva prima che la sentenza della Cassazione su ricorso della Rai – attesa prossimamente – potesse limitarne la capacità contrattuale. Del resto è vero, la decisione di Viale Mazzini di ricorrere contro la sentenza del 26 gennaio 2005 – quella che obbligava la tv pubblica e restituirgli un programma di prima serata – era stata condivisa da tutti: anche dal presidente Paolo Garimberti, che non si è mai opposto. Magari Santoro aveva, ecco, diritto di essere amareggiato: ma il rischio di ritrovarsi con un pugno di mosche, visto che la Cassazione poteva anche non confermare la sentenza di reintegro, era troppo alto: meglio prendere i soldi (tanti) e rimettersi in gioco nell’eterna gravidanza del terzo polo televisivo. La Rai, di par suo, è contenta così: ha finalmente liquidato una grana giudiziaria e soprattutto politica. I più strenui oppositori di Santoro dicevano che il suo doveva essere servizio pubblico, e che però non lo era: una critica che stava insieme con lo sputo – nessuno ha ancora capito che cosa sia, il servizio pubblico – ma che stava comunque in piedi.

Detto questo, nella vicenda tutti vincono e tutti perdono. Annozero aveva successo, portava ascolti e soldi – circa il doppio di quelli che costava – ma soprattutto veniva guardato perché in tv non c’era nient’altro del genere. Questo bisogna dirlo: nessun’altra trasmissione ha i suoi difetti e i suoi pregi, soprattutto nessun’altra trasmissione ha le sue caratteristiche e lo stesso sforzo produttivo, e perché? Possiamo anche inciderlo nella pietra, dopo tanti anni: perché la cosa non interessa. A questa Rai e a questi partiti non interessa, e non parliamo solo del centrodestra: anche se è soprattutto dalle parti governative, indubbiamente, che a un certo punto non è più interessato azzardare un programma alternativo ad Annozero e si è optato per la cancellazione di quello che c’era già. Così, negli ultimi anni, ha vinto la tentazione di chiuderlo anziché affiancarlo ad altro, anziché levargli il monopolio, fargli concorrenza, relativizzarlo.

Un programma del genere non interessava neppure a Mediaset, ma più per motivi strategici che politici: commercialmente sarebbe stato più rogne che altro. La classe politica che s’indignava contro Annozero in compenso correva a Ballarò, sui Raitre, dove tutto è molto più rassicurante e però non si approfondisce niente, e la scaletta è tutto. La sinistra ne va matta, per Ballarò: soprattutto da quando ha compreso che l’avversario medio di Santoro non è più soltanto il centrodestra, ma anche il centrosinistra ritenuto troppo moderato, quello che soffre – giustamente – i monologhi di Grillo e di Travaglio, il Di Pietro invitato cento volte, certi servizi in cui piove sempre e il governo è sempre ladro.

Però a Santoro, regolarmente, si riconosce di essere «un grande professionista»: non è ben chiaro di che cosa, ma lo si dice sempre. Di giornalismo? Anche, ma non solo. Santoro è anche un professionista della provocazione, della demonizzazione dell’avversario e quindi delle grida, degli agguati, delle piazze, dell’approfondimento ma anche del semplicismo, del vittimismo, del creare il caso quando le cose vanno in modo troppo normale: è lì che scatta il ricatto, l’implicita sfida a chiudere Annozero oppure a tenerselo così, prendere o lasciare. È lì che scatta l’arruffapopolo, il vessillo di una libertà d’informazione che non conosce critiche, solo attentati, come se Annozero avesse avuto una deroga particolare, un contratto particolare rispetto ai criteri che dovrebbero ispirare il servizio pubblico: a conoscerli, questi criteri. A capire che cos’è, il servizio pubblico.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera