Cinquant’anni fa nasceva Radio Popolare

Che ancora oggi è un riferimento per l'informazione indipendente e un caso di successo del modello basato sugli abbonamenti

La sede di Radio Popolare nel 1979 (foto di Fabio Minotti)
La sede di Radio Popolare nel 1979 (foto di Fabio Minotti)
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Radio Popolare fu registrata come testata al tribunale di Milano il 24 dicembre del 1975, anche se poi le trasmissioni iniziarono ufficialmente l’anno successivo e diventarono sempre più regolari a partire dall’autunno del 1976. Ai tempi era una delle tante “radio libere” che nacquero negli anni Settanta in Italia per contrastare il monopolio della Rai, e che puntavano a raccontare storie che non venivano trattate dall’emittente nazionale. La sua prima sede era così piccola da essere soprannominata “Metrocubo” e per poter trasmettere sfruttava le frequenze di Radio Milano Centrale, un’emittente di cui successivamente assunse buona parte dei redattori.

Allora sembrava probabilmente impossibile pensare che sarebbe esistita ancora cinquant’anni dopo e in effetti la sua storia è abbastanza eccezionale: per la sua linea editoriale e alcuni programmi innovativi per l’epoca è diventata un punto di riferimento culturale a Milano, tanto da riuscire a mantenersi in gran parte con un sistema di abbonamenti, che è quello su cui si basa ancora oggi.

Radio Popolare nacque come cooperativa: era composta da diversi rappresentanti di sigle sindacali e partiti di sinistra (come Unità proletaria, Movimento lavoratori per il socialismo, Avanguardia operaia e Lotta Continua), dagli stessi redattori e anche dagli ascoltatori, che potevano entrare a farne parte comprando una tessera. L’abbonamento fu introdotto circa quindici anni dopo: essendo gratis e ascoltabile da chiunque a Milano e in certe zone del Nord Italia (e poi negli anni via satellite e in digitale), l’abbonamento veniva presentato come un modo per sostenere il progetto di Radio Popolare e di fatto non offriva nulla in cambio. È un modello che oggi si vede un po’ più spesso (per esempio sul Post) ma che ai tempi era tutt’altro che collaudato, eppure funzionò.

Oggi Radio Popolare è una società, Errepi s.p.a, ma si basa su un modello di azionariato diffuso con migliaia di azioni, buona parte delle quali è della cooperativa dei lavoratori della radio. L’abbonamento costa 90 euro all’anno e gli abbonati sono 17mila, la maggior parte dei quali paga ogni anno con un prelievo automatico direttamente dal conto corrente. «Questo sostegno costante ci ha permesso di restare solidi negli anni», dice la direttrice Lorenza Ghidini. «Nel bilancio gli abbonamenti contano più del doppio della pubblicità», aggiunge. Anche su questo fronte Radio Popolare si è sempre distinta per una selezione rigida degli inserzionisti e degli spot da mandare in onda. Oggi gli ascoltatori sono circa 460mila ogni settimana.

La sede di Radio Popolare in piazza Santo Stefano a Milano negli anni Novanta

Milano negli anni Settanta era una città industriale con molte fabbriche e i movimenti studenteschi di sinistra erano forti e radicati. La radio voleva parlare alla classe operaia trattando i suoi bisogni «reali e concreti», facendo anche intervenire nelle trasmissioni i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali, senza però trascurare altri temi come la cultura e lo sport. Le trasmissioni iniziavano prima delle 7 del mattino perché era in quella fascia oraria che si concentrava il pubblico maggiore di operai, lavoratori e casalinghe. In alcune fasce del pomeriggio invece il pubblico di riferimento erano i giovani e gli studenti universitari di sinistra.

Il direttore allora era Piero Scaramucci, ex giornalista della Rai e militante di Lotta Continua, che ne scrisse anche il progetto editoriale. Fu chiamata “Radio Popolare” per il pubblico al quale si rivolgeva, ovvero gli operai e i lavoratori in generale, e perché voleva parlare a tutti ed essere un progetto a larga partecipazione. Aveva l’obiettivo di contrapporsi ad altri canali di informazione come la Rai che, secondo Scaramucci, era rivolta alla borghesia e relegava ai margini le questioni operaie e sindacali. Nel primo progetto editoriale, Scaramucci sintetizzò l’obiettivo della radio: non «far da altoparlante a lotte esemplari», ma «fungere da luogo in cui settori di proletariato esercitano la propria capacità di informare, riflettere, elaborare, discutere, comunicare pubblicamente, contrapponendosi di fatto, quotidianamente, al punto di vista della classe di potere».

Una foto dalla mostra “50 e 50 – La mostra di Radio Popolare 1975-2025”

Ora Radio Popolare ha la sua sede in via Ollearo 5, nella zona nordovest di Milano. È di proprietà ed è stata comprata anche con i soldi degli abbonamenti: gli ascoltatori potevano acquistare un simbolico “mattoncino”. Il pubblico di riferimento nel frattempo è un po’ cambiato «perché è cambiata la società», dice Ghidini: «sono cambiati i lavori, è cambiata Milano, sono cambiate le abitudini di ascolto e quelle di vita. Continuiamo però con il nostro intento di dare voce a chi non ce l’ha, come i detenuti, le persone trattenute nei Cpr o i rider sfruttati».

La radio ha avuto un momento di crisi negli anni Dieci del Duemila, come conseguenza della crisi economica del 2008, quando le pubblicità cominciarono a calare drasticamente. In quell’occasione i redattori decisero di decurtarsi lo stipendio per evitare licenziamenti e successivamente fecero partire una campagna abbonamenti molto intensa che si chiamava “Impresa eccezionale”, proprio perché puntava a raggiungere un numero di abbonati più alto del solito. Negli anni successivi le difficoltà a mantenersi non sono scomparse del tutto, ma Ghidini dice che da anni il bilancio è solido.

Manifestazione del 1° maggio 1982 (foto Fabio Minotti)

La prima volta che Radio Popolare ottenne una certa visibilità fu la notte della prima della Scala del 1976 che, come da tradizione, era il 7 dicembre. In quell’occasione ci furono degli scontri e delle proteste fuori dal teatro che furono raccontate in modo dettagliatissimo sia tramite i cronisti sul posto, sia con le telefonate degli ascoltatori. Dentro alla Scala invece, come inviata in incognito, c’era la giornalista Camilla Cederna che commentava chi c’era e com’era vestito.

Oltre alla cronaca milanese e nazionale, fin dall’inizio Radio Popolare si è occupata molto di esteri: sempre nel 1976, a dare la notizia della morte di Mao Zedong fu Edoarda Masi, sinologa e saggista che raccontò l’evento in diverse dirette telefoniche. Ma negli anni la radio diventò una sorta di punto di riferimento anche per il racconto della Guerra del Golfo: Radio Popolare poteva contare su alcuni redattori che parlavano arabo e potevano dare conto di come il conflitto veniva raccontato dalle radio locali in lingua araba e non solo dai media americani.

Sempre nell’ottica di dare visibilità a fasce marginalizzate della popolazione, negli anni Ottanta Radio Popolare creò una serie di trasmissioni che difficilmente sarebbero state ospitate da altre emittenti, come “Radio Shabi”, settimanale in lingua araba per le persone immigrate, e “L’altro martedì”, programma dedicato alle persone omosessuali. “Radio due tre”, creata sempre in quegli anni, invece era fatta assieme ai detenuti del carcere di San Vittore.

Oltre alle trasmissioni politiche, di esteri e sulle tematiche sindacali però Radio Popolare ha sempre avuto anche un ampio palinsesto di programmi su temi culturali, sportivi e per bambini. L’umorismo è una parte importante dell’identità dell’emittente: «L’impegno politico si è sempre sposato bene all’intrattenimento e al divertimento, e ha sempre contribuito a creare una comunità, fa proprio parte dell’idea che la radio sia di tutti», continua Ghidini. Tra le altre cose per esempio le campagne per gli abbonamenti di solito vengono accompagnate da jingle molto ironici.

Una delle grandi “innovazioni” di Radio Popolare è il “Microfono aperto”, ovvero una trasmissione in cui si dà la possibilità agli ascoltatori di intervenire in diretta per dire quello che vogliono, senza censure. In certi casi si trattava di notizie: gli ascoltatori raccontavano quello che stava succedendo, dagli incidenti stradali agli incendi, alle proteste di piazza, in altri invece creavano dibattiti. L’intenzione era creare una versione meno mediata e più autentica di Chiamate Roma 3131, un programma lanciato nel 1969 da Radio Rai. Divenne un modo per creare un dibattito politico in diretta, per trattare tematiche complicate ma anche per dare notizie in tempo reale. Ora Microfono aperto esiste ancora, ma è un po’ cambiata rispetto agli anni Settanta: gli ascoltatori intervengono tramite telefonate o messaggi vocali, ma sono interventi meno politici e con più interlocuzione con i conduttori.

Tra gli altri programmi simbolo di Radio Popolare c’è per esempio “Passatel”, una versione pre internet dei siti di compravendita, durante il quale gli ascoltatori telefonavano per vendere oggetti che avevano in casa o chiedevano aiuto per cose che non riuscivano a trovare da nessuna parte: molti mobili e oggetti in buone condizioni venivano così venduti a pochissimo, e ogni tanto saltavano fuori richieste strambe, come delle latte di Ovomaltina per fare dei fuochi d’artificio illegali o un oscilloscopio.

Un altro programma molto amato e che molti oggi associano alla propria infanzia è ”Crapapelata”, una trasmissione per bambini che prende il nome da una filastrocca milanese (crapapelata vuol dire testa pelata) e che consisteva nella lettura di filastrocche, poesie, racconti e canzoni per bambini.

La trasmissione che ha avuto la traiettoria più inaspettata invece è probabilmente “Bar Sport”, creata negli anni Ottanta e che faceva esattamente quello che prometteva, ovvero parlava agli ascoltatori di calcio come si farebbe al bar. Durante quella trasmissione intervenivano tre ascoltatori che diventarono prima ospiti fissi, poi collaboratori e infine conduttori effettivi: Carlo Taranto, Marco Santin e Giorgio Gherarducci, che ebbero molto successo e divennero poi il trio comico della Gialappa’s Band.

In occasione dei 50 anni di Radio Popolare, fino al 25 gennaio alla Fabbrica del Vapore di Milano è in corso la mostra.